Cataldi, regia Champions per la Lazio: il derby lo ha incoronato

A 28 anni si è preso i biancocelesti. Sarri gli ha trovato il ruolo: ora riscuote il riconoscimento che gli mancava
Cataldi, regia Champions per la Lazio: il derby lo ha incoronato© LAPRESSE
Fabrizio Patania
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ROMA - Ci sono date, occasioni e partite capaci di segnare un confine, provocare una svolta, cambiare una carriera. Il derby per Danilo Cataldi ha un significato profondo, non solo perché è nato a Roma e lo ha vinto con la fascia di capitano. E’ come se avesse abbattuto e superato la corteccia di diffidenza creata intorno al suo nome dallo stesso popolo laziale e da giudizi avventati. Sarri ci credeva, altrimenti nella passata stagione non lo avrebbe utilizzato 32 volte in campionato, di cui 19 da titolare al posto di Leiva. E fuori da Formello? Molto meno, diciamo la verità, quasi non fosse adeguato per raccogliere l’eredità del play brasiliano, ex Liverpool. «Non ci arrivi in Champions». «Buon giocatore, ma serviva un regista titolare» i commenti più benevoli, ascoltati o letti negli ultimi mesi. Trascurando la legge del campo, le valutazioni del tecnico, i precedenti della stessa Lazio e una verità inconfutabile. Se Marcos Antonio non si è imposto, Sarri è andato avanti lo stesso, pagando solo in Europa League, perché Cataldi ha un buon piede, sa giocare corto o lungo, possiede le caratteristiche ideali per il suo calcio: ritmo alto, visione, trasmissione veloce della palla.

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Maturazione lenta

Per quale ragione sia esploso solo a 28 anni è un altro discorso. Può succedere ma le qualità di Danilo, per chi frequenta i campi, erano conosciute. Nel 2013, da capitano e da trequartista, vinse lo scudetto Primavera con la Lazio guidata da Bollini, il suo maestro. Due anni dopo Pioli lo avrebbe lanciato al debutto in Serie A nella stagione conclusa con il terzo posto e l’accesso ai preliminari Champions: 16 presenze nel girone di ritorno (in autunno era stato bloccato da un infortunio muscolare), titolare all’ultima giornata a Napoli in coppia con Parolo. Mancava Biglia, Ledesma in panchina. Responsabilità enormi, come l’altra sera. Radu, in una partita con la Fiorentina, gli aveva già messo la fascia al braccio dopo l’uscita di Mauri. Un segno di stima dello spogliatoio. All’epoca, da esordiente, Danilo veniva considerato come oggi possono esserlo Miretti e Fagioli alla Juve. Era rientrato dal prestito in B al Crotone. Le difficoltà del gruppo e di Pioli (dopo il preliminare Champions) diventarono anche le sue. Un giorno Klose disse a Lotito: «Non perderlo. Venderai Cataldi a 40 milioni». Arrivarono i prestiti al Genoa e al Benevento. Lo scarso feeling con Inzaghi. Tare temeva potesse esplodere altrove. Sartori, in pressing, lo voleva all’Atalanta. Non giocava, non veniva venduto. Eterna promessa. Danilo, alla fine, decise di restare e di prolungare il contratto, in scadenza 2024, sapendo di giocare poco anche se oggi si contano 184 presenze in Serie A (142 in biancoceleste) e 187 totali con la Lazio. Percorso lungo, interminabile. Ha impiegato più tempo per imporsi, ottenere il riconoscimento, capovolgere i pregiudizi. Il derby vale come incoronazione. «Non ho dormito per tre notti - ha scritto su Instagram - Non riuscivo a chiudere occhio, immaginavo come sarebbe potuta andare: la giocata giusta, il movimento, il passaggio. Ogni minimo dettaglio. Per un ragazzo nato e cresciuto nella Capitale come me, non è stata solo una partita. Era un sentimento che ti scorre nelle vene. Tutto quello che ho vissuto all’Olimpico è stato qualcosa di meraviglioso. Unico. Una serata perfetta. Siamo stati gruppo, abbiamo vinto da famiglia, con il popolo biancoceleste che ci ha aiutato a tirare fuori il meglio. E’ un orgoglio indossare e difendere questa maglia. Ora avanti verso i nostri obiettivi».  


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