Lazio, Signori incorona Immobile: "Il più forte, si vede la mano di Zeman"

Amarcord per l'ex bomber: "Come faccio a dimenticare i tifosi biancocelesti?". Poi il dolore per la scomparsa di Mihajlovic
Lazio, Signori incorona Immobile: "Il più forte, si vede la mano di Zeman"
Giorgio Marota
4 min

«E segna sempre lui, si chiama Beppe Signori!». Il vecchio coro della Nord riecheggia nelle cuffie del Re, mentre i suoi occhi combattono la classica battaglia con le lacrime che vogliono uscire e trovano la porta sbarrata dal timore di lasciarsi andare. «Mi hanno incoronato sotto la Curva con una corona vera, sono scesi in piazza per non farmi andare via. Quelle cose lì come fai a dimenticarle?». Ma Giuseppe Signori è un re altruista. Uno di quelli che comprende la spietatezza del tempo e non ha paura di abdicare: «Oggi c'è Ciro, il più forte. E si vede che l'ha cresciuto Zeman. Il boemo mi ha reso un centravanti in grado di segnare tantissimi gol e a Pescara ha plasmato anche il talento di Immobile».

Sinisa

È un pomeriggio di piacevole nostalgia per l'ex bomber di Lazio e Bologna. Radiosei lo invita, lui si racconta nell'etere senza filtri. Sono le 15.08, mezz'ora di parole è già volata via e sono previste due ore di intervista. Ma durante la seconda pubblicità, mentre Beppe continua a firmare autografi e poster portati come reliquie in studio da tecnici e impiegati, arriva una di quelle notizie che trasformano i sorrisi in lacrime: è morto Mihajlovic. «Ma come? Adesso?». Lo confermano i familiari del serbo in una nota. «Fermi, se è vero non posso andare più avanti» dice. Il conduttore Capodaglio legge il bollettino e Signori ricorda l'amico Sinisa con le prime parole che gli escono dal cuore: «Un ragazzo che non mollava mai. Un duro, ma dal cuore puro. Era ancora giovane e con tanta voglia di vivere. Il fatto di non allenare più forse gli ha tolto la forza. È una tragedia». Fine delle trasmissioni.

Riscatto

Il tragitto che dalla radio, in via Tiburtina, lo porta a casa di sua figlia, sempre a Roma, è un susseguirsi di chiamate e messaggi. In tanti gli chiedono conferme, Beppe non si dà pace: «Non si può morire così a 53 anni, la vita è davvero ingiusta». Con le dovute differenze, lo è stata anche con lui: la vicenda del calcioscommesse, dalla quale è stato assolto con formula piena, gli ha dato 10 anni di angosce. Gli agenti ad attenderlo alla stazione, i domiciliari, i titoloni in prima pagina, il rifiuto al patteggiamento e persino alla prescrizione per essere giudicato con una sentenza vera. È tutto in un libro, "Fuorigioco", e in un docufilm. «Ho dato tutto, sono finito anche in ospedale per un'embolia polmonare. Dimostrare che ero innocente è stato il più bel gol della mia vita». «Mi hanno descritto come il "capo dei capi" - racconta Signori - ho comprato 90 mila intercettazioni ma io non comparivo mai. Purtroppo avevo l'identikit perfetto per il pm: ero un nome da spendere e non lavoravo per nessuna società». I tifosi della Lazio non l'hanno mai abbandonato. E ai cinque anni in biancoceleste sono legati i ricordi più intensi: come gli scherzi di Gascoigne («una volta mi fece trovare una razza sul cruscotto della macchina, era un genio»), i 26 gol in A alla prima stagione nella Capitale e la scelta di diventare rigorista («Zoff chiese chi se la sentiva e io alzai la mano, poi mi sono inventato quel modo strano di calciarli»). Una vita da Re la sua, con tanto di lieto fine. E una dedica: «All'amore dei laziali, che vale più di dieci scudetti».


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