ROMA - Si pensano all’infinito i fuoriclasse come Pedro, ma anche l’infinito un giorno finisce: «Essendo verso la fine della carriera voglio sfruttare al meglio tutte le occasioni che mi capitano sul campo e voglio farlo con i miei compagni perché non so ancora quando verrà il momento. È difficile prendere questa decisione, ma toccherà anche a me ed è bene approfittare di tutto. Poi? Si vedrà, magari tornerò a Tenerife e starò insieme ad amici e parenti». Lo definisce “il momento” perché non è facile per nessuno elaborare la fine della carriera. La grande bellezza di una vita calcistica stellare e la profonda tristezza nel dover dire basta. Pedro, a 37 anni, con il contratto in scadenza a giugno, è tra quelli che possono non smettere. Si sente ancora un giocatore e i gol che sta regalando alla Lazio non sono gol di uno che sta già passeggiando sul viale del tramonto. Pedro s’è confessato a Tenerife, nella notte che l’ha consacrato “miglior sportivo della storia” dell’Isola. La serata s’è svolta giovedì in occasione dei 90 anni di Radio Club Tenerife - Cadena Ser.
L'emozione
Pedrito, premiato insieme a Sergio Rodriguez (campione del mondo di basket con la Spagna), s’è emozionato solo a parlarne del suo passato e di ciò che sta rivivendo con la Lazio. In Spagna si parla del cerimoniale che l’Olimpico dedica a Pedro dopo gol e vittorie che portano la sua firma: «“Pedro” di Raffaella Carrà è una canzone speciale per me, l’hanno cantata dal primo momento. La mettono alla fine della partita quando segno e vado sempre sotto la Curva a ballarla. La verità è che è sempre un’emozione, la cosa mi piace molto». Pedro-Pe, nel remix, è la hit del gol laziale, una colonna sonora in Europa e in campionato. Nel giro di 4 giorni ha fatto ballare l’Olimpico. Premiare Pedro, sentirlo parlare, è stato come rivivere anni e anni di successi, partendo da quando sulla maglia portava il nome Pedrito e vinceva con il Barcellona dei fenomeni: «Mi dà sempre gioia risentire e rivedere quei momenti. È un piacere per me usare quel nome, in fondo ero per tutti Pedrito anche nel mio paese quando ho iniziato a giocare con gli amici e mi ha dato tanto gioia debuttare usando questo nome. Penso di avere solo un paio di maglie con quella scritta, una ce l’ha mio padre. È stato speciale debuttare con il Barça, il club dei sogni da bambino».
Il Mondiale
Pedro ha rivissuto la vittoria della Coppa del Mondo con la Spagna nel 2010: «Ero in panchina, c’era tanta tensione perché era la finale. La sfida era stata intensa, con tanti falli e pensavamo di andare ai rigori invece Iniesta con quella giocata mitica, con il suo modo di incedere, l’ha decisa. Seguivamo tutti l’azione con grande partecipazione, quando è entrato in area ci siamo alzati tutti, quasi abbiamo sollevato la panchina, perché non poteva sbagliare. Al gol siamo andati tutti verso il corner e c’è stata la festa. Sono stato contentissimo di aver vissuto questa esperienza, l’unico mondiale vinto dalla Spagna». Pedro non insegue quello che è stato, insegue quello che sarà. Maestro dello spogliatoio della Lazio e al tempo stesso simbolo, aiuta Baroni a forgiare giovani e a costruire un nuovo futuro per la squadra. Il suo magistero si esprime nell’esempio, insegna che si può credere nell’infinito. E con la Lazio potrebbe non finire a giugno, di contratto se ne riparlerà.