“Maestro, il calcio a colori di Tommaso Maestrelli” non è quel film che tutti da mezzo secolo aspettano su quella banda di pazzi capaci di sovvertire l’ordine costituito del calcio italiano, sconfitti solo dal destino, ma dal destino resi immortali. Quello proposto dai registi Francesco Cordio e Alberto Manni è il racconto della vita dell’uomo, che proprio in virtù della sua breve permanenza su questo mondo, è stato capace di lasciare un segno profondo della sua esistenza, negli occhi e nel cuore degli appassionati sportivi, come di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
Cordio: "Quell'impresa ai limiti dell'impossibile"
«Nel nostro docufilm – racconta Cordio, regista documentarista, autore tra gli altri di Roma, golpe capitale - ripercorriamo l’intera esistenza di Tommaso Maestrelli, che cela i prodromi di quell’impresa ai limiti dell’impossibile, che lo portò a governare, custodire e dirigere la Lazio più leggendaria di tutti i tempi. Dalle sue esperienze come calciatore, con l’esordio in Serie A prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, a quelle da commissario politico di una brigata di 360 uomini in Dalmazia, quando inizia a emergere la sua capacità di “comandante”, rigido ma senza mai perdere la gentilezza, che preferiva il dialogo agli ordini. Un’esperienza che probabilmente lo formò, rivelandosi preziosa nel suo rapporto con i calciatori e che abbiamo riscoperto insieme al figlio Massimo grazie al lavoro di ricerca ed interpretazione degli scritti dello storico Massimiliano Desiante».
Manni: "Maestrelli figura eroica"
A emergere è infatti la grande capacità di Maestrelli nel rapportarsi alle persone, piuttosto che nel gestire un gruppo: «Non trattava nessun giocatore alla stessa maniera – sottolinea Alberto Manni, regista e sceneggiatore nonché regista di diversi show televisivi – e forse proprio questo era uno dei segreti nella sua capacità di andare dritto al cuore delle persone. D’altro canto – prosegue Manni -, parliamo di una figura eroica, capace di sublimarsi nella sofferenza fisica, contravvenendo agli ordini dei medici per rispondere all’appello di Wilson, Martini e Chinaglia e decidendo di rinunciare alla chiamata del presidente federale Franchi per guidare l’Italia ai Mondiali del 1978 in Argentina, per sedere ancora una volta sulla panchina della sua Lazio e condurla alla salvezza, prima di morire».
Maestrelli, amato ovunque
Non solo Lazio, però, in un racconto che tocca tutte le città vissute da Maestrelli, trovando ovunque testimonianze di una stima e un affetto indelebili: «Non ce lo aspettavamo neanche noi – ammettono Cordio e Manni -, ed invece abbiamo incontrato tantissime persone, dai suoi ex giocatori come Tomasini, Pirazzini e Bigon, per sempre grati della fiducia accordata loro dal tecnico, ai tifosi della Reggina, con i capelli bianchi, ma ancora pronti a togliersi il cappello, ricordando la prima storica promozione in Serie B».
Maestrelli, un innovatore
C’è poi la genialità del tecnico, che Manni descrive così: «Il grande pubblico conobbe quella piccola ‘Orange’ che era la Lazio, ma già con il Foggia e poi con la Reggina, Maestrelli si dimostrò un visionario e dalle idee talmente innovative, che perfino il grande Gianni Brera faticò a comprendere, definendo in senso dispregiativo il suo calcio come un’eresia podistica. E invece seppe portare il colore nel calcio in bianco e nero degli anni ‘70».