Ieri il Codacons ha chiesto che si rigiochi Milan-Spezia : non ne sentivamo il bisogno . Sempre ieri nella home del primo quotidiano italiano, il Corriere della Sera, il trentanovenne torinese Marco Serra, è della Vergine, figurava in ben sei titoli , tra nuovi e vecchi. I più freschi: “È possibile ripetere la gara?”; “Le lacrime dell’arbitro Serra dopo l’errore decisivo” ; “Marco Serra, ecco chi è il calciatore mancato, diventato arbitro su consiglio di uno zio”. Bella zio .
Mi si dirà che l’Aia per prima ha sacrificato il suo uomo, ricevendo anche il plauso dei benpensanti . Ma il tutto porta acqua al mulino dei No Var (ci mancava) che da tempo insinuano una sorta di sudditanza psicologica a favore del mondo intero, non di questo o quel club, come accadeva un tempo. Si addebitava spesso a gli arbitri (vedi Lo Bello, Agnolin, Casarin e Collina, tanto per restare ai giorni nostri) il peccato della certezza, una totale sicurezza nel proprio comportamento, un decisionismo sconfinante nell’arroganza. Chi ricorda il Lo Bello pentito - si fa per dire - davanti alla moviola di Carlo Sassi per una storica svista si porta appresso anche il suo sorriso ironico che voleva dire «e adesso, poveri uomini?». Erano arbitri davvero, quelli, e basta. Li abbiamo voluti fantozzianamente più umani, accondiscendenti, magari più furbi in posa angelica. E il risultato è il povero Serra che piange e non tiene il punto (non è da arbitro) e i suoi capi che lo scaricano . Resta il plauso al Milan di Pioli (preciso di Pioli) che ha reagito - parola pesante, quando è vera - sportivamente. E tuttavia d’ora in avanti ci sarà chi aguzzerà la vista per cogliere la compensazione. Var o No Var.
Se fossi Rocchi, Serra non lo fermerei. Anzi: lo rispedirei in campo domenica per verificare se ha la personalità, l’equilibrio e la competenza necessari per arbitrare il grande calcio dei fuori di capoccia. Serra ha bisogno di affrancarsi dall’umanissimo pianto nello spogliatoio. Per punizione, lo farei rialzare.