Il Milan di Leao: la libertà del genio al potere

Il Milan di Leao: la libertà del genio al potere© LAPRESSE
Alessandro Barbano
5 min

Lo scudetto è Leão, Leão è lo scudetto. Undici gol e dieci assist, tre e sei nelle ultime sei giornate, incontenibile, diresti quasi arrogante, come una nuova generazione al potere, corre senza sforzo apparente e ride quando accelera, come faceva Pavarotti sull’acuto più estremo, insulto alla fatica dell’atleta, libertà del genio che sfugge alla marcatura, a qualunque marcatura, figuriamoci a quella imbarazzante del Sassuolo. Quanto crederà di valere, Leão, adesso che Mbappé prende cinquanta milioni netti a stagione? Creda ciò che gli pare, ma non dimentichi che il Milan ha avuto il coraggio di sostituire Donnarumma con una muratura costata appena quindici milioni. E non ha sbagliato.
Perisic è Ettore, eroe perdente, anche lui fa sei gol e tre assist nelle ultime dieci gare, ma non basta a distogliere dal vuoto lo sguardo di Inzaghi, che si accomoda in panchina come un prigioniero politico davanti a un tribunale militare. Perché c’è tre a zero e tre a zero, e quello contro la Samp somiglia a uno zero a tre. L’Inter dei quindici gol in più del Milan, e del centrocampo esemplare, è caduta sul declino di Dzeko e, forse, sulla rigidità di un modulo tanto equilibrato quanto prevedibile. Ma è solo un’ipotesi, i tre punti che la separano irrevocabilmente dal tricolore non dicono di più.
Poi ci sono il capitombolo nerazzurro di Bologna, e la beffa spezzina a San Siro. Se Ionut Radu è il rimorso - provate a immaginare che cosa sia stato per il portiere nerazzurro l’ultimo pomeriggio a San Siro - Marco Serra è la consolazione: i danni, non pochi, che gli arbitri hanno fatto al calcio in questa stagione non sono stati sufficienti a falsare il campionato. Ha vinto il migliore? No, ha vinto chi aveva dentro di sé più semi di futuro, e in un tempo di grandi accelerazioni il futuro è diventato il presente. Sono gli under ventiquattro del Milan a portare lo scudetto sulle spalle: oltre al fuoriclasse portoghese, Tonali, Theo Hernandez, Tomori, Kalulu. Ragazzi, la cui gioia davanti alle telecamere scopre sul viso un’esitazione ancora adolescenziale. Eppure tanto maturi da archiviare l’ingombrante signoria di Ibrahimovic e prendersi la scena.
Se il futuro è anche coraggio, il Milan è la squadra che ha dimostrato di averne di più. Non ha esibito il gioco più bello, ma quello più sfidante: mai si è chiusa in difesa dopo un vantaggio, anzi più spesso ha osato troppo, allungandosi fino a rischiare. Ha giocato a modo suo, con la libertà dell’uno contro uno di Leão e Messias, con l’intesa simbiotica dei due centrali difensivi che ha consentito a esterni come Theo e Calabria di affondare, con le intermittenti ma creative risorse del centrocampo. È qui che Pioli ha scoperto a un certo punto la formula della vittoria, quando ha capito che l’asse verticale tra Tonali e Kessie - il primo quindici metri dietro al secondo - spezzava sul nascere qualunque ambizione avversaria. La formula del doppio regista è la chiave di volta del grande girone di ritorno rossonero: quarantaquattro punti, quattro più del Napoli, sei più dell’Inter. A pagare la scelta è stato Brahim Diaz: il sacrificio del fantasista dice tutta intera la saggezza del tecnico parmense, il suo comprendere che in una rosa superdotata l’equilibrio tattico vale più della qualità individuale.
Lo scudetto degli outsider è suo. Perché, rispetto al rivale interista, mostra un’elasticità maggiore e un più audace uso delle risorse. Inzaghi ha preteso Correa per tenerlo una stagione in panchina, Pioli ha scommesso sul crotonese Messias e ne ha fatto un protagonista, venendo ampiamente ripagato. Il bello, scrivevamo ieri, viene adesso: i due tecnici hanno la conferma in tasca, ma non la stessa serenità. Inzaghi deve cercare molti rattoppi e ricostruire, Pioli può trasformare un successo in un’egemonia. Perché non si ferma qui l’evoluzione di un gruppo che fa suo lo scudetto con un’età media di ventiquattro anni.
Questo è anche un successo industriale. Impone un paradigma strategico alternativo a quello dei petrodollari parigini, o dei superdebiti juventini. Dimostra che si può rinunciare al migliore portiere d’Europa, si può scommettere sui prodotti del vivaio e sui talenti scartati da altri e, più di tutto, si può differire l’aspettativa della vittoria, per poi ottenerla in un tempo inferiore a quello previsto. Chapeau!


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