Estasi Milan, una festa Scudetto attesa da troppo tempo

Il Mapei Stadium colorato da oltre 18mila tifosi rossoneri: a fine partita invasione totale con i giocatori presi d’assalto e spogliati. Poi la premiazione e le medaglie al collo, la doccia  a Pioli, l’ovazione per Ibra e Leao
Estasi Milan, una festa Scudetto attesa da troppo tempo© LAPRESSE
Marco Evangelisti
4 min

REGGIO EMILIA - Temevo di morire prima. «Ero bambino nel 1999, adolescente nel 2004, giovane adulto nel 2011». Adesso il tifoso appesantito e ansimante è adulto e basta, e scaccia dalla gola il fiato che gli è rimasto dopo aver partecipato al ruggito finale lanciato dalla Gradinata Sud. Mentre le transenne cedevano, il campo diventava una piazza colorata e fumante, Pioli sbaraccava l’aria a manate scavandosi un varco nello stress accumulato e lasciato lì a indurirsi.
È passato tanto tempo, in effetti. Ma meno di quanto i milanisti di onorato e anziano servizio pensassero. In mezzo sì, c’è stato il 2007 con Champions, Supercoppa e Mondiale per club, ma lo scudetto ha quel sapore aspro, artigianale che ti dura di più. E anche la sua assenza, in certi mondi, sopra certe maglie ti dura di più. Questo arriva con un piglio diverso dal solito: uno scudetto strappato, preteso, afferrato di balzo, vinto sfondando ed atterrando, a un’ora in cui anche la primavera si oscura, in uno stadio ombroso e velato di nuvole sottili, bollenti, come intinto nell’alcool. Pieno di amici fiduciosi: ne hanno calcolati 18.000, ma ce n’erano tanti di più sparsi dovunque, non registrati e tuttavia per nulla anonimi, tantomeno silenziosi. Venuti da Milano, ovvio, e da dovunque, dall’Inghilterra, dall’Australia quanto da Cerignola.
Scudetto poi avvolto nella storia, afferrato il 22 maggio, nel 59º anniversario del primo successo milanista e italiano in Coppa dei Campioni, contro il Benfica. Scudetto di un campionato oggi apparentemente di provincia, eppure globale nel profondo, celebrato con 240 eventi organizzati dalla società in 50 Paesi, festeggiato nel 900 Milan Club riconosciuti e nel migliaio non ufficiale, assaporato da, dicono quelli che contano nel senso che valutano quanti siamo a fare che cosa, 500 milioni di simpatizzanti globali. Non è per altra ragione che il Milan sta passando da americano ad americano, dal fondo Elliott a RedBird. Ci sono simboli che ancora cuciono insieme le pezze di un pianeta slabbrato. Una squadra può.
Paul Elliott Singer, creatore del fondo Elliott, ieri era allo stadio, a vedere il suo Milan dal vivo per la prima volta e il Milan in assoluto per la seconda (sin qui pressoché invisibile come il drago che porta il suo nome di mezzo). Stava insieme con il figlio Gordon. Sembra non sia un addio, non ancora. Di sicuro è un abbraccio. I soldi valgono, il sangue alla testa che il tifo ti fa venire pure. Dove dovrebbe esserci la premiazione c’è l’assembramento definitivo, disegni di diavoli irridenti e braccia nude alzate verso la tribuna d’onore. Pura gioia e pura libertà. Eppure sensate, ordinate, in attesa di un segnale.
Il delirio dura dieci minuti, quindi fa posto al protocollo. Non è così triste. Quelli che sembrano svenuti si alzano e camminano. Quelli che sembrano ubriachi trovano la strada. Quando esce Paolo Maldini, lo stadio tornato prodigiosamente al suo posto canta in lode sua. Lui ride finché ci riesce, prima che la commozione dilaghi. Giroud raccoglie la medaglia dall’ad della Lega, Luigi De Siervo, con la mano libera dalla bottiglia di champagne. Ibrahimovic - con il sigaro, come altri giocatori - la bottiglia la fa partire come un missile e riscuote l’ennesima ovazione dell’anno. Quella che marchia la serata, ed è normale così anche se il pubblico, che se ne intende, prolunga gli applausi ai passi di danza di Leao e Theo Hernandez.
Ultimo il capitano Romagnoli. Prima di lui entra Pioli e invece delle grida c’è un profondo, intenso, riconoscente applauso. Di fatto, la sintesi esatta di tutto. Il tempo si sospende fino a quando Theo Hernandez si stufa, annega l’allenatore nella schiuma del vino e con tutta la squadra trascina la coppa sotto la tribuna che torna a rompere gli argini. Chi può, perdoni. Aspettavano da tanto.


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