Maldini, l’amico geniale. Che colpi: da Theo a Leao

Competenza, equilibrio e un amore infinito per il Milan: tante intuizioni che hanno lasciato il segno. Così l’ex capitano è diventato decisivo anche dietro la scrivania
2 - Maldini© ANSA
Franco Ordine
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Un bel no, rotondo e perentorio, fu la sua fortuna. La fortuna di Paolo Maldini fu quel «no, grazie», secco e perentorio, pronunciato dopo il colloquio con Marco Fassone alla presenza del ds Mirabelli, gestione mister Li. Gli proposero - con l’intento di procurarsi il sostegno della vulgata milanista - di affiancare lo stesso Mirabelli nella nuova area tecnica. L’obiezione di Maldini fu semplice non avendo mai frequentato prima l’ex dirigente interista: «Scusi ma quando non sarò d’accordo con il ds, quale opinione tecnica prevarrà tra la mia e la sua?». Rispose Fassone: «La mia». Maldini capì l’antifona e rinunciò. Non fu la prima volta. Era già stato convocato da Barbara Berlusconi, ai tempi disgraziati della gestione del Milan a due teste (lei e Adriano Galliani ad con compiti ben divisi) per un colloquio informale: Paolo offrì una disponibilità di massima a discutere nel dettaglio l’incarico ma poi - confessò successivamente in una pubblica intervista - «non ho saputo niente». La terza, finalmente, fu quella giusta. Scenario completamente diverso: Elliott proprietario del Milan, Leonardo sul ponte di comando (dopo il no di Marotta, ndr) poi sostituito da Boban, Gattuso allenatore dimissionario a fine stagione, i primi mesi scanditi dall’apprendistato. Maldini non doveva certo istruirsi di calcio, doveva invece prendere confidenza con il compito inedito, 10 ore passate in ufficio, i 100 colloqui con gli agenti e i 1000 procuratori che chiamavano da ogni parte del mondo. 

Paolo ha fama di essere un freddo e invece confessa di aver vissuto una vita da fuoriclasse del calcio stravolto dalle tensioni, mirabilmente nascoste. Raccontò: «I miei compagni di squadra mi chiedevano prima di una finale: ma come fai a essere così sereno? Io ammiccavo ma dentro ero agitatissimo». Fu invece determinato e glaciale Paolo Maldini quando sulla scena milanista si affacciò la sagoma ingombrante e chiacchierona di Ralf Rangnick, il sapientone tedesco “sondato” da Gazidis quando anche i primi risultati della gestione Pioli non risultarono soddisfacenti. Boban “strappò” con Elliott sparando a zero sull’azionista, Paolo per fedeltà al club rimase al timone del team ma spiegò al tedesco che quella invasione di campo non sarebbe stata più tollerata. Fu l’inizio del …principio. Perché da allora il Milan cominciò a marciare spedito verso nuovi traguardi, nuovi orizzonti grazie appunto alle prime scelte di Maldini, da Theo Hernandez fino a Leão. Convinse il primo durante un colloquio “one to one” avvenuto a Ibiza. «Quando Paolo mi parlò non ebbi alcuna esitazione a firmare» la spiegazione dell’interessato. E da lì una striscia di scelte azzeccate, alcune rischiose tipo non inseguire gli appetiti di Raiola sul conto di Donnarumma e rivolgersi al calcio francese per individuare e arruolare il sorprendente Maignan. Rivelatrice una frase di Arrigo Sacchi in proposito: «Quando non hai mezzi finanziari infiniti, devi provvedere con le idee. Maldini l’ha fatto in modo esemplare».

Freddo è rimasto Paolo Maldini tutte le volte che gli strepiti e le proteste della tifoseria del web reclamavano chissà quali comizi mediatici per segnalare gli sfondoni di arbitri e varisti. Come i comunicatori più efficaci, parlò una volta sola, dopo l’1 a 1 con l’Udinese, gol di mano dei friulani non segnalato dal varista Guida. «Basta mandarci arbitri debuttanti, stiamo giocando per il primato» disse ai microfoni della tv. Non si è mai lamentato, se non tornando dal viaggio di Roma dopo il 2 a 1 sulla Lazio, dei pronostici che a inizio stagione «escludevano il Milan dalle prime quattro posizioni». Lui, Paolo Maldini, capace di accudire la creatura calcistica giorno dopo giorno, sapeva già - perché toccava con mano la crescita esponenziale di ragazzi alle prime armi col primato - che i conti sarebbero tornati. Ne parlò in tempi non sospetti con un antico rivale poi diventato partner di infinite discussioni calcistiche, Beppe Bergomi: «Falli parlare del Milan che arriva quinto, noi sappiamo di essere forti». Adesso lo può dire anche in pubblico

 


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