Napoli, Italia

Napoli, Italia© ANSA
Alessandro Barbano
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Stasera gli azzurri di Ancelotti giocano per l’Italia. Non solo perché sono rimasti in lizza da soli in Europa, dopo il collasso bianconero. Non solo perché la loro è un’impresa estrema, di quelle che possono compattare un certo orgoglio nazionale, contro gli inglesi che pure a Londra sono parsi più creativi, più allenati, più determinati e più maturi. Ma perché, se il Napoli stasera si arrende ai due gol di vantaggio dell’Arsenal, certifica che tra il calcio italiano e le eccellenze europee c’è una distanza sul breve incolmabile. Allora quell’incompiutezza, che mixa il vecchio con il nuovo e che si difende e si pretende come un segno dell’identità nazionale, apparirà una muffa che ha l’odore e il sapore delle cose irrancidite.

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E tutto, dalle società senza stadi alle plusvalenze farlocche, dagli illusionismi dei procuratori al ricatto degli ultrà, dal sonno dei vivai al tatticismo esasperato dei cento passaggi indietro al portiere, tutto sarà prova di un ritardo insormontabile, di un vecchiume inaccettabile, di un virus inestirpabile.

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Stasera il Napoli può spalmare un balsamo analgesico sui mali del calcio italiano, oppure spalancare la porta di un giudizio universale. E rendere non più differibile un’analisi su quanto tardi e quanto male sia cresciuto il suo sistema. Su quanto abbia volato basso, inseguendo i modelli difettivi del gigantismo degli sceicchi e dei fondi stranieri, invece di coltivare e valorizzare le sue risorse sportive. Perché la qualificazione dell’Ajax sulla Juve è uno schiaffo all’idea che l’unico futuro possibile per il calcio stia nelle figurine del Paris Saint Germain. È il successo di una filosofia sportiva che punta sui giovani e di una scuola calcistica che aggiorna il primato del suo pionieristico calcio totale nelle nuove geometrie del calcio glocal, nelle triangolazioni strette e ubriacanti di un gruppo che s’intende a memoria.

Perché ha investito sul talento e sull’intesa, ed è capace con quattro ventenni di trasformare l’area di rigore avversaria in un campo di calcetto e di nascondere la palla agli avversari prima di gettarla in porta. Stasera Insigne giocherà per provare, un’altra volta ancora, che non è un mezzo giocatore, ma piuttosto un campione vero, non sempre aiutato dal contesto. Ma giocherà anche per dimostrare che Kean, Barella, Chiesa, Zaniolo, Mandragora e Sensi sono il germoglio di una grande scuola che può ancora rinascere dalle sue ceneri, e non la velleitaria utopia di un calcio rimasto provinciale. La sfida del Napoli s’intesta perciò una responsabilità doppia: smentire la sindrome dell’eterno secondo, condannato dalla sua mollezza caratteriale a capitolare sempre a un passo dal traguardo. E tenere aperto il sipario del calcio che conta, oltre il sabato pasquale dell’ottavo e scontato scudetto bianconero. È un’impresa tanto difficile quanto necessaria per salvare una stagione e dare l’ultima sveglia possibile a un sistema chiamato a cambiare. Senza più sotterfugi, senza più imitazioni. 


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