Koulibaly: “Sarri? Un pazzo. E che gaffe con Benitez!”

Lettera aperta (da brividi) del difensore senegalese a The Players’ Tribune: “Sono cresciuto in Francia in una città in cui c’erano tanti immigrati. Amo Napoli, da quando sono arrivato mi sento diverso e tranquillo. Il primo incontro con De Laurentiis? Si mise a ridere…”
Koulibaly: “Sarri? Un pazzo. E che gaffe con Benitez!”© FOTO MOSCA

NAPOLI - L’infanzia, la carriera, gli episodi di razzismo, l’arrivo a Napoli e il rapporto con presidente e allenatori. Kalidou Koulibaly si è raccontato splendidamente in una lettera pubblicata su ‘The Players’ Tribune’. “Sono cresciuto in Francia in una città che si chiama Saint-Dié, dove c’erano tanti immigrati: senegalesi, marocchini, turchi. I miei genitori venivano dal Senegal. In realtà, il mio padre è arrivato per primo, faceva il taglialegna. Sì, un vero taglialegna francese. Esistono veramente. Prima di trovare quel lavoro era andato a Parigi senza documenti e aveva lavorato in una fabbrica tessile. Sette giorni su sette, anche il sabato e la domenica. Lo ha fatto per cinque anni in modo da mettere da parte abbastanza soldi per portare mia madre in Francia. E poi il piccolo Kalidou è nato a Saint-Dié. (Hanno preso ispirazione per il mio nome dal Corano)”. (…) “Io non avevo la PlayStation a casa mia, quindi entravo, mi toglievo le scarpe e mi rilassavo come se fosse casa mia. Ero il benvenuto. Se la nostra vicina mi diceva: “Kalidou, vai al negozio a prendere del pane”, andavo al negozio come se me l’avesse chiesto mia madre. Quando cresci in un ambiente del genere sono tutti tuoi fratelli. Eravamo neri, bianchi, arabi, africani, musulmani, cristiani, sì ma eravamo tutti francesi. Avevamo tutti fame, quindi si andava a mangiare tutti cucina turca, o venivano tutti a casa mia a mangiare piatti senegalesi”.

 


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La prima telefonata di Rafa Benitez

Giocavo al Genk in Belgio e il mio amico Ahmed sarebbe venuto a stare da me per qualche giorno. Stavo aspettando che arrivasse in stazione quando ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto. 

Risposi in inglese: “Pronto, chi parla?

Buon giorno, sono Rafa Benitez”.

Gli dissi: “Dai Ahmed, smettila di prendermi in giro. Sono qui ad aspettarti” e attaccai. 

Mi chiamò di nuovo e iniziai ad arrabbiarmi.  

Gli dissi: “Dai Ahmed, basta. Sono qui. A che ora arrivi?”.

Pronto? Sono Rafa Benitez”.

Attaccai di nuovo il telefono. 

Poi mi chiamò il mio procuratore e risposi. 

Ciao Kouli, come stai? Hai già parlato con Rafa Benitez del Napoli? Ti chiamerà.” 

Gli risposi: “Cosa? Ma stai scherzando? Credo che mi abbia appena chiamato. Pensavo che fosse il mio amico a farmi uno scherzo!”.

Il mio procuratore allora chiamò Rafa per spiegargli cosa che era successo così lui mi richiamò e io risposi come se niente fosse. 

Gli dissi: “Hello, Rafa! Hello! Bonjour! Hola! Hello!” 

Ciao, vuoi che parli in inglese?

Come preferisce, possiamo parlare nella lingua che vuole.” 

Alla fine abbiamo parlato in francese.  

Mi fece mille domande: “Sei fidanzato, ti piace andare a ballare, conosci la città, i giocatori?” 

Gli risposi: “Allora mister, conosco Hamsik”.

A dir la verità non conoscevo veramente i giocatori e non sapevo niente della città ma ovviamente conoscevo Rafa Benitez e tutto quello che mi disse mi fece un’ottima impressione.  

Dopo la telefonata chiamai subito il mio procuratore e gli dissi: “Fai tutto quello che devi fare. Andiamo a Napoli”. 

 


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Il primo incontro con Aurelio De Laurentiis

De Laurentiis mi guardò un po’ storto e mi disse: “Quindi sei tu Koulibaly?” 

Sì, sono Koulibaly

Ma non sei alto? Ma non eri alto 1,92?” 

No, presidente, sono alto 1,86

Mannaggia! C’è scritto dappertutto che sei 1,92! Devo parlare con il Genk per avere dei soldi indietro!

Nessun problema, presidente. Paghi pure il prezzo pieno, gli darò ogni centimetro in campo, non si preoccupi”. 

Gli piacque molto questa frase. Si mise a ridere e mi disse: “Va bene, sei il benvenuto qui a Napoli, Koulibaly. Benvenuto”.

Napoli ormai è come casa

"Napoli è una città che ama la gente. Mi ricorda l’Africa perché c’è tanto affetto. La gente vuole toccarti, vuole parlarti. La gente non ti tollera, ti ama. I miei vicini mi vedono come un figlio. Da quando sono arrivato a Napoli sono un uomo diverso. Sono davvero tranquillo".

 


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E quell’aneddoto su Maurizio Sarri

La cosa più bella è che mio figlio è nato qui. Non mi scorderò mai di quel giorno perché è una storia pazzesca che riassume perfettamente Napoli.

Mia moglie era andata in ospedale la mattina e quella sera avremmo giocato contro il Sassuolo in casa. Eravamo in sala video ed il mio telefono continuava a vibrare. Di solito lo spengo ma ero preoccupato per mia moglie. 

Mi aveva chiamato cinque o sei volte. 

Il nostro allenatore all’epoca era Maurizio Sarri. È un tipo molto intenso, quindi non volevo rispondere. Alla fine uscii di corsa, risposi al telefono e mia moglie mi disse: “Devi venire subito, nostro figlio sta arrivando”. 

Allora andai da Sarri e gli dissi: “Mister, mi scusi ma devo andare. Sta nascendo mio figlio!”.

Sarri mi guardò e mi rispose: “No, no, no. Ho bisogno di te stasera, Kouli. Mi servi davvero. Non puoi andare”. 

Gli dissi: “Sta per nascere mio figlio, mister. Faccia quello che vuole. Mi dia una multa, una squalifica, non mi importa. Io vado”. 

Sarri sembrava così stressato e fumava una sigaretta. Fumava, fumava e rifletteva e poi alla fine disse: “Va bene puoi andare in ospedale ma poi devi tornare per la partita stasera. Ho bisogno di te, Kouli!”. 

Andai di corsa in ospedale. Se non sei diventato padre per la prima volta, non puoi capire questa sensazione. Non puoi perderti la nascita di tuo figlio. Arrivai a mezzogiorno e, grazie a Dio, alle 13:30 era nato un piccolo napoletano. L’abbiamo chiamato Seni. È stato il giorno più bello della mia vita. 

Alle 16 mi chiamò il mister. Questo tipo, devi capire… è pazzo. Lo dico nel senso positivo ma è pazzo!  

Mi disse: “Kouli? Ma torni? Ho bisogno di te. Ho veramente bisogno di te. Ti prego!

Mia moglie stava ancora recuperando le forze e probabilmente anche lei aveva bisogno di me. Ma non volevo deludere i miei compagni di squadra perché gli voglio davvero bene. E amo la città di Napoli. Mia moglie mi disse di andarci e io andai allo stadio. Stavo iniziando a prepararmi per giocare e Sarri entrò negli spogliatoi e attaccò l’undici di partenza al muro. Io cercavo, cercavo… 

Non c’era il mio numero. 

Gli chiesi: “Mister, ma sta scherzando?” 

Cosa? È una mia scelta.

Mi aveva messo in panchina!

Non mi aveva messo neanche titolare!

Gli dissi: “Mister, mio figlio, mia moglie. Li ho lasciati lì. Mi ha detto che aveva bisogno di me.” 

Sì, abbiamo bisogno di te in panchina.

Tutto quel casino e non giocavo neanche titolare! 

Ora che ci penso, mi viene da ridere, ma in quel momento mi veniva da piangere. 

Magari pensi che questa sia una storia negativa. Ma per me questa storia è tutto quello che amo di Napoli. Se la dovessi spiegare, non si capirebbe. È come cercare di spiegare una battuta. Devi venire in città e la sentirai. È pazza sì. Ma calda. 


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NAPOLI - L’infanzia, la carriera, gli episodi di razzismo, l’arrivo a Napoli e il rapporto con presidente e allenatori. Kalidou Koulibaly si è raccontato splendidamente in una lettera pubblicata su ‘The Players’ Tribune’. “Sono cresciuto in Francia in una città che si chiama Saint-Dié, dove c’erano tanti immigrati: senegalesi, marocchini, turchi. I miei genitori venivano dal Senegal. In realtà, il mio padre è arrivato per primo, faceva il taglialegna. Sì, un vero taglialegna francese. Esistono veramente. Prima di trovare quel lavoro era andato a Parigi senza documenti e aveva lavorato in una fabbrica tessile. Sette giorni su sette, anche il sabato e la domenica. Lo ha fatto per cinque anni in modo da mettere da parte abbastanza soldi per portare mia madre in Francia. E poi il piccolo Kalidou è nato a Saint-Dié. (Hanno preso ispirazione per il mio nome dal Corano)”. (…) “Io non avevo la PlayStation a casa mia, quindi entravo, mi toglievo le scarpe e mi rilassavo come se fosse casa mia. Ero il benvenuto. Se la nostra vicina mi diceva: “Kalidou, vai al negozio a prendere del pane”, andavo al negozio come se me l’avesse chiesto mia madre. Quando cresci in un ambiente del genere sono tutti tuoi fratelli. Eravamo neri, bianchi, arabi, africani, musulmani, cristiani, sì ma eravamo tutti francesi. Avevamo tutti fame, quindi si andava a mangiare tutti cucina turca, o venivano tutti a casa mia a mangiare piatti senegalesi”.

 


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