Napoli, fuga dal San Paolo: ecco perché

Solo undicimila tessere nonostante gli spalti riammodernati, il calo dei prezzi e i collegamenti che non mancano: rimane il mistero
Napoli, fuga dal San Paolo: ecco perché© SSC NAPOLI via Getty Images

NAPOLI - Perché? E si può restare prigionieri di un interrogativo, inseguendo nel silenzio d'uno stadio teorie o teoremi che lasciano galleggiare poi nel vuoto pneumatico. Perché? Ci sono domande semplicissime che nella loro disarmante banalità non ricevono risposte: e si può osservare, studiare o radiografare, ritrovandosi tra le dita il nulla o semplicemente qualche briciolo di verità.

Perché siano solo undicimila gli abbonati del Napoli è un mistero (persino buffo) che spinge a modulare ipotesi razionali, a calarsi nella realtà indiscutibile di una città difficile, ad attraversare il cambiamento dell’humus calcistico e le rivoluzioni, nelle abitudini e anche nelle tecnologie, di un mondo che ha virato, è uscito dai suoi riti e dalle sue abitudini del secolo scorso ed è piombato in questo Terzo Millennio affrontandolo a muso duro, rinunciando a qualcosa (al calcio per esempio), che può essere servito diversamente, comodamente, in poltrona. Però c’è anche altro in quest’universo che strapazza pure le didascalie del proprio passato, lasciandolo ingiallire la memoria e i suoi meravigliosi anni ‘60 (e anche ‘70), quando ancora non era planato Diego a Fuorigrotta, e però ce n’erano ottantamila a lasciarsi rosolare dal sole o a inondare dalla pioggia, sguazzando dentro se stessi.

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Luci al San Paolo: nuovo impianto di illuminazione, due mega-schermi

Almeno all’esterno, per quel che si vede, il «vecchio» San Paolo è una fotografia sgualcita, un’immagine demodé ch’è stata cancellata dalla scintillante inaugurazione delle Universiadi, da quel luccichio abbagliante del nuovo impianto di illuminazione, dalla seduzione, si direbbe persino il fascino (eh sì), dei due mega-schermi che hanno oscurato un tormento popolare secolare e scatenato uno stupore addirittura fanciullesco.

Però, in quel palcoscenico che ha avuto bisogno di venticinque milioni di euro per essere rimesso a nuovo, spogliatoi a parte, resta il deserto che una platea di undicimila abbonati non può colmare e che induce a riflettere sulle aspirazioni della città, sull’ossessione scudetto, su un rapporto a volte contrastato con il club. Però il primo capitolo dell’analisi sulla disaffezione di massa - il san Paolo e le sue rovine, la sua sciatteria, la sua inefficienza assoluta, s’è almeno visibilmente ridimensionato: la colpa, dunque, non era (non è) di quel «rottame» anche cadente che adesso sa essere apparentemente ospitale, riempie persino gli occhi allo spettatore.


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NAPOLI - Perché? E si può restare prigionieri di un interrogativo, inseguendo nel silenzio d'uno stadio teorie o teoremi che lasciano galleggiare poi nel vuoto pneumatico. Perché? Ci sono domande semplicissime che nella loro disarmante banalità non ricevono risposte: e si può osservare, studiare o radiografare, ritrovandosi tra le dita il nulla o semplicemente qualche briciolo di verità.

Perché siano solo undicimila gli abbonati del Napoli è un mistero (persino buffo) che spinge a modulare ipotesi razionali, a calarsi nella realtà indiscutibile di una città difficile, ad attraversare il cambiamento dell’humus calcistico e le rivoluzioni, nelle abitudini e anche nelle tecnologie, di un mondo che ha virato, è uscito dai suoi riti e dalle sue abitudini del secolo scorso ed è piombato in questo Terzo Millennio affrontandolo a muso duro, rinunciando a qualcosa (al calcio per esempio), che può essere servito diversamente, comodamente, in poltrona. Però c’è anche altro in quest’universo che strapazza pure le didascalie del proprio passato, lasciandolo ingiallire la memoria e i suoi meravigliosi anni ‘60 (e anche ‘70), quando ancora non era planato Diego a Fuorigrotta, e però ce n’erano ottantamila a lasciarsi rosolare dal sole o a inondare dalla pioggia, sguazzando dentro se stessi.

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