De Laurentiis e Ancelotti, scene da un matrimonio

De Laurentiis e Ancelotti, scene da un matrimonio
Ivan Zazzaroni
3 min

De Laurentiis lo riempie di complimenti, lo fa in continuazione (“un signore”, “un gentiluomo”, “un grande allenatore”, “può restare qui per dieci anni”) e per confermare anche nella difficoltà la vicinanza ad Ancelotti e la solidità di un rapporto fin dal primo giorno sorprendente (eufemismo), ieri a una decisione scomoda ma non impopolare, quale è il ritiro lungo, ha aggiunto il termine “costruttivo”. A differenza di Reja, Benitez, Sarri e Mazzarri (quest’ultimo quando vedeva apparire sul cellulare il numero del presidente andava in sbattimento), Carlo non subisce il turbamento aureliano: i suoi anticorpi sono l’esperienza e un carattere impermeabile agli eccessi altrui, alle bipolarità da risultato: si è fatto le ossa con soggettini quali Berlusconi, Galliani, Abramovic, Florentino, Leonardo, Hoeness. A oggi questo “matrimonio non solo d’interesse” è talmente inattaccabile che Ancelotti non ci ha pensato due volte prima di dichiarare apertamente il proprio dissenso nei confronti del “ritiro costruttivo”: “Non sono d’accordo con la decisione di De Laurentiis, ma l’accetto”.

La decisione peraltro non lo indebolisce, tutt’altro: lo rafforza, dal momento che gli sbandamenti e i cali di rendimento dei giocatori più importanti, i valori alti del Napoli (Insigne, Fabian, Callejòn, Zielinski, Koulibaly), hanno anche e soprattutto origini contrattuali. De Laurentiis è il primo a saperlo e per questo ha voluto mettere un punto esclamativo responsabilizzando il primo livello. Ha dimenticato però che i buoni rapporti, perfino l’amicizia, non consentono di scavalcare l’allenatore, magari fingendo un muto (e mutuo) consenso. Non è da Ancelotti, e De Laurentiis lo sa, conosce a tal punto la sensibilità e la personalità di Carlo che quando ha protestato per la sua espulsione ha usato termini insoliti, assenti dal dizionario dei lamenti: “Cafoni che cacciano un signore...”. Tanto insolito, quell’attacco, che il giudice sportivo non ha potuto tenerne conto. La buona educazione non è prevista dal regolamento. Ecco perché Adl farebbe bene, a questo punto, a concertare una via d’uscita con l’allenatore. Magari ricorrendo a un atto di giustizia che sarebbe anche una lezione per chi confonde i doveri professionali con i diritti contrattuali: castigare i reprobi identificati, possibilmente gli illustri strapagati. Demagogia? Forse. Ma è sempre meglio che mostrarsi deboli.


© RIPRODUZIONE RISERVATA