Napoli, quel vulcano di De Laurentiis e le sue estati pericolose

La fuga in motorino del 2011 dal rito della compilazione dei calendari, il no alla premiazione della Supercoppa ma anche i fantasiosi colpi di scena: sempre pronto a pagare il prezzo delle sue idee
Napoli, quel vulcano di De Laurentiis e le sue estati pericolose© ANSA
Antonio Giordano
5 min
Tagsnapoli

Quando è uscito di casa, all’alba d’un giorno apparentemente normale, Aurelio De Laurentiis ha ripetuto, quasi meccanicamente, i gesti che appartengono alla sua quotidianità: ha salutato sua moglie Jacqueline, ha imboccato il vialetto breve ma «affascinante» di Villa Bismarck, s’è gustato quel panorama stordente che da casa, a Capri, induce a specchiarsi nel mare e non ha mai avuto (mai) il sospetto di essere nell’anticamera di una tempesta dalla quale sarebbe stato inghiottito. E quando invece è rientrato, a sera, facendo il percorso all’incontrario, giusto il tempo di ravviarsi i capelli, di risistemarsi la barba s’è ritrovato capovolto da quel ciclone che si chiama Covid, il nemico subdolo che l’ha accomodato tra gli umani. Nel bollettino del ministero della salute, ovviamente, il suo nome non c’è, ma dal potere evocativo della notizia, esplosa al mattino e però già sussurrata nella notte, sembra di scorgere - tra i 1597 positivi - la sua espressione vaga e turbata, che s’avvicina al “Manitoba” per solcare le dolci acque ormai divenute agitate e che s’avvia, dolente, nell’isolamento un po’ angosciante, chissà se anche frustrante.

Più di un vulcano 

Dev’essere una coincidenza, diceva Zafon, «le cicatrici del destino», ma le sue estati sono state spesso turbolenti come secchiate di ghiaccio bollente, e il calcio, ch’è un amplificatore di massa, è divenuto il megafono degli sketch paradossali d’un uomo incapace di resistere a se stesso, alla propria natura, alle provocazioni, ad un carattere racchiuso sistematicamente in un’etichetta, vulcanico, incenerita da un anno all’altro. Ma questa è un'altra storia, non c’entra niente su quel film che si potrebbe allestire mettendo assieme i vari spezzoni o goliardici o comunque irrituali, insoliti e un po’ guasconi che i suoi sedici anni di Napoli suggeriscono: stavolta, nel suo viaggio verso Roma, ciò che resta è il senso di disorientamento dinnanzi alla descrizione ch’emerge intorno a sé, anzi su di sé, trasformato nell’immagine da “unto del signore”, l’abito che si è ritrovato appiccicato addosso con quella sua postura e l’incedere della dialettica, a quella di “untore”, un “giovanotto” irresponsabile che se ne va in giro impunemente a diffondere il virus.

Le sue estati

L’energico e il visionario si nascondono in questa doppia anima di Aurelio De Laurentiis, che un giorno di qualche luglio fa (era il 2011) se ne andò urlando al mondo del calcio della Serie A la sua indignazione per quel sorteggio dei calendari irrispettosi. E per sfuggire a quel clima, e standosene lontano, nell’attesa (eventualmente) di tornare a Los Angeles, ci mise un colpo di teatro, mediaticamente avvolgente, salendo sul motorino di un ragazzo, dal quale si fece dare un passaggio ed al quale, mesi dopo, avrebbe regalato uno scooter griffato Napoli. C’è stata un’epoca, che ancora vive, ricca di lui, delle sue eversive dichiarazioni, di esternazioni da “picconatore” quasi seriale, però al Nido d’Uccello a Pechino, agosto 2012, dopo che la Juventus vinse la finale di Supercoppa in una serata densa di ombre cinesi allungate dall’arbitro Mazzoleni e dai suoi collaboratori, s’inventò un epilogo del quale, poi, si sarebbe pentito, un (ennesimo) taglio con un universo divenuto per lui allergizzante: niente premiazione per la squadra, invitata a rientrarsene nello spogliatoio e disertare la cerimonia, e veleno sul Palazzo, che gli aveva sventolato tre cartellini rossi sotto ai piedi, manco fosse un tappeto per l'inferno.

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