Napoli, lo Spalletti segreto: il ritratto del nuovo tecnico

L'allenatore toscano aveva una voglia matta di tornare in gioco. In azzurro lotterà per il titolo che gli manca: lo scudetto
Napoli, lo Spalletti segreto: il ritratto del nuovo tecnico© ANSA
Giancarlo Dotto
8 min

ROMASpalletti a Napoli, fidatevi, sarà una goduria. Spettacolo garantito. Pochi mesi e sarà il Luciano più celebre tra Forcella, il Vomero e Santa Lucia, insieme a De Crescenzo, il Luciano indimenticabile della Napolitudine. Ci sta come un babà il suo cranio lucente e il suo occhio di brace nel ventre borbonico di quella che non è una città, ma la più bella e la più grandiosa di tutte le battaglie perse. Un delirio unico al mondo. Già la vedo la sua statuina nei presepi di Gregorio Armeno aggiungersi a quelle di Totò, Maradona e Troisi, confondersi con le Madonne, i Pulcinella, gli altari e gli stracci alle finestre, ogni bottega un’invenzione scenica, lungo i budelli millenari e le facce assurde di Spaccanapoli. Dovesse presentarsi per il prossimo Natale in testa al campionato, non escludo la statua in terracotta, legno e seta a grandezza naturale. Luciano sarebbe tornato più che volentieri nella sua Roma, per la terza volta, ipotesi più che ventilata quando Fonseca ha preso a traballare, coerente al suo addio in versione Califano: non escludo che ritorno. Giusto così, invece. Nella storia bella densa e anche qua e là tribolata dell’uomo di Certaldo mancava solo una cosa, un giro nel manicomio allegro di Napoli. Bravo Aurelio de Laurentiis a fare ciò che andava fatto. Due nomi su tutti in locandina, Lucio e Aurelio, due teste fumanti quasi quanto il Vesuvio, sperando non diventino pistole fumanti. Non vedo l’ora, a proposito, prima di ogni altra ora, del giorno in cui sarà Roma contro Napoli e dunque Lucio contro Mou. Ne vedremo e ne ascolteremo delle belle.

Luciano Spalletti è pronto per Napoli

Sei anni di Roma sono un potente vaccino. A Napoli tutto è teatro, a cominciare dalla morte. La sua non è altro che la versione infinitamente meno malata e meno nevrotica della passione in forma di assedio. Appena si è sparsa la voce di lui sulla panchina del Napoli, sono stati consensi, ma anche dubbi e domande ansiose: «Ma non sarà che Spalletti non regge i capitani, i calciatori di personalità? Caccerà anche il nostro Insigne, dopo aver fatto la guerra a Totti e litigato con Icardi? E Cassano? Vi ricordate di Cassano messo al bando?». Tranquilli. Timori infondati. Spalletti ama i campioni, ma pretende che giochino di squadra, che siano esempio alla squadra. Su questo non transige. Ma dategli tutte le perle della terra e si commuoverà. Da calciatore ha remato nei bassifondi. Era un centrocampista sgobbone, mai andato oltre la serie C, ma il suo idolo era Antognoni, talenti in cui la maglia si confondeva con la pelle. «Sì, ma non sarà che Spalletti scapperà anche da Napoli alla prima diffi coltà, come è scappato da Roma?». Bugie. Peggio che bugie. Le comode “verità” di quella vacca pigra, vigliacca e decerebrata che è la folla ai tempi dei social. Al contrario. Imparerete presto ad amare i suoi umori lunatici e la sua dedizione alla causa, gli sguardi persi nel vuoto e quelli a caccia eterna di nemici. Spalletti e i suoi fantasmi tra i fantasmi di Eduardo. Un copione perfetto. Una cosa: se avete visto la serie su Totti scordatevela in fretta. Quello non è Spalletti, ma una sua comoda caricatura. Come il suo omonimo Lucio Cincinnato, il nostro lascia la vanga e l’aratro dopo due anni di sabbatico e di Covid, molto ben retribuiti anche per sopportare la frustrazione di vedere il per niente amato (eufemismo) Antonio Conte viziato e accontentato in ogni suo capriccio, sopportato anche quando scambiava la società per uno di quegli alberi dove i cani marcano il territorio, nella stessa piazza in cui lui ha dovuto battersi a mani nude e la sensazione di essere sopportato. Per due anni si è travestito da quello che è, un uomo della terra, un contadino felice e solitario dalle mani grandi, che fa il vino (un ottimo vino, tante varietà e tutti nomi calcistici, il rosé “Tra le linee”, i rossi “Bordocampo”, “Rosso di-retto” e “Contrasto”, il mio preferito, quello che più gli somiglia, merlot e sangiovese nella stessa vite), il tutto rigorosamente coltivato e tracannato con gli amici di sempre delle galline del Cioni. Trastullandosi con tutti i suoi animali, i cavalli, Astra il preferito, i quattro ciuchi, le anatre, i cani, gli struzzi, tutti. Niente gatti e ma-iali. A vezzeggiare la sua latente misantropia verso tutto ciò che non ha l’odore delle sue radici e le sue amatissime collezioni. Auto d’epoca, martelli antichi e maglie dei calciatori. Centinaia di maglie piegate con cura maniacale.

Napoli, l'ora giusta per Spalletti

I tifosi interisti erano disponibili, ma non hanno fatto in tempo ad amarlo. Roma era diventata una pozza putrida di tormento. Un rebus crudele e incomprensibile per un uomo che, fosse per lui, avvolgerebbe tutto e tutti con l’abbraccio soprattutto fi sico della sua smisurata energia. Uomo di rara generosità. Nel senso che, forse risparmia, ma non si risparmia. Ha una concezione titanica e monocorde della vita. Il suo motto è: fidatevi della mia passione e lasciatevi travolgere. Ama, ricambiato, i giocatori che riconoscono la sua generosità. Di uno che, se non dà tutto, non dà niente. Dato via via per cileno, poi corteggiato viola, dunque reduce romanista, Luciano, mani e scarpe grosse e cervello molto fi no, ha aspettato paziente il copione giusto. Napoli è il copione giusto. La storia buona a strapparlo dalla sua campagna e dai suoi dedalici pensieri. Amici napoletani, imparerete ad amarlo. Questo smagliante sessantenne, questo uomo che scandisce e scolpisce e qualche volta si confonde nelle volute della sua sintassi, generosa anche lei, che ama le volute spericolate dell’allusione, dell’antitesi e della reticenza. Lingua, a volte oscura, anche per lui che la pronuncia. Ma capace anche di sintesi ruvide che vanno dritte al cuore. Questo è Spalletti. Minosse, Teseo e il Minotauro nella stessa persona. Un uomo sempre in guerra, soprattutto con se stesso. Che scandiva e scolpiva alla fi ne dell’unica intervista concessa in tanta clausura: «Voglio tornare ad allenare il prima possibile, mi piace questo mestiere, non vedo l’ora». È arrivata l’ora. Se l’Inter resta il suo dente offeso, l’incidente che non sopporta, Napoli, se la vita fosse per una volta una storia perfetta, dovrebbe essere il suo grande risarcimento. Uno scudetto nello stadio di Maradona, alla fine probabilmente della sua parabola di allenatore, lo consegnerebbe alla grandezza che merita. «Un genio assoluto», secon-do Walter Sabatini. Uno sa riconoscere il genio, che parli, che scriva, che calci o che alleni. I suoi colpi di genio? Tanti. Per citarne solo alcuni. Quel Perrotta alla Roma inventato incursore, Nainggolan sognato trequartista. Emerson Palmieri. Dopo tre giorni aveva capito che era un grande giocatore. E Pizarro all’Udinese. Indovinato come play, uno dei più grandi degli ultimi anni. Bravo come pochi a rianimare piazze ammosciate da passaggi a vuoti, nel caso di Napoli i vedovi di Gattuso e quelli di una Champions imperdonabilmente mancata, Luciano occuperà Castel Volturno, come ha occupato Appiano Gentile, Trigoria, i ghiacci di San Pietroburgo (dove ancora lo amano e lo ricordano per la folle corsa a torso nudo sotto la neve il giorno dello scudetto) con i suoi uomini, la sua adrenalina e la passione che non lascia scampo ad alibi, bluff o debolezze. Poco, ma sicuro.


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