Napoli, progetto no limits di un club che innova

Napoli, progetto no limits di un club che innova© ANSA
Antonio Giordano
3 min

Il giorno in cui vennero presentati Lavezzi e Hamsik (Lavezzi e Hamsik), 16 luglio 2007, l’urlo preoccupante d’una Napoli ignara del proprio futuro finì per diventare la colonna sonora per una notte. «Meritiamo di più». La sera in cui Adl, privo di freni inibitori e disperatamente alla ricerca di un centrale da affiancare ad Albiol, stava per investire 15 milioni, a placare quel bulimico desiderio d’un difensore fu Rafa Benitez: «Blocchiamo Koulibaly, aspettiamo giugno e vedrai». I bicchieri sistemati dinnanzi al K2 per spiegargli i movimenti e le diagonali, furono completamente pieni. Ma questa estate, quella dei rovinosi addii e delle separazioni, Napoli si è sentita perduta, senza riferimenti tecnici, fisici, caratteriali, senza più il «tiraggiro» e monumenti (riconosciuti ed indimenticabili) della propria storia e però pure senza aver percezione di cosa stesse per accadere: perché il calcio è cambiato ancora, ha lasciato che evaporasse quel senso di disorientamento, ha consentito alla riconoscenza di adagiarsi sulle pareti della memoria e poi ha costretto chiunque a stropicciarsi gli occhi.

Cristiano Giuntoli, il diesse, e Maurizio Micheli, il capo dell’area scouting, hanno infilato lo sguardo dove nessun altro ha deciso di avventurarsi, si sono impossessati di nuovi mondi - a cui la critica e la pancia del tifoso comune s’avvicina con la puzza al naso - e per sostituire Insigne hanno puntato dieci milioni su Kvaratskhelia mentre per piantare una statua là dietro, al fianco di Rrahmani, sapendo che sarebbe stato praticamente impossibile afferrare un altro Koulibaly, con una ventina di milioni si sono regalati un esotico, amabile, calcolato azzardo con Kim Min-jae. Il resto è noto, compreso qualche umanissimo errore nella gestione di Meret, ma sembra un dettaglio, la cosiddetta parabola della pagliuzza e della trave. Smontare il Napoli è apparso un necessario atto di coraggio, quasi simile al precedente del 2013, da quello tecnicamente diverso ma egualmente epocale. Ma questa scelta di vita diventa il fotogramma d’una filosofia che, va riconosciuto, rappresenta il mantra del club, la sua stessa idea ampiamente alternativa, che passa dall’era degli Higuain a quella con gli Osimhen o si rifugia tanto in «un» Jorginho quanto in «un» Ndombele, che senza affannarsi strappa Di Lorenzo alla distratta concorrenza e poi - per mutare pelle - scala il proprio K2. Vuoi vedere che sappiano davvero fare calcio?

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA