Napoli, l’attore Spalletti punta all’Oscar

La rivoluzione azzurra sul mercato estivo è stata trasformata in una squadra capace di stendere il Liverpool in Europa e primeggiare in campionato. Il soprannome datogli da Allegri torna d’attualità
Napoli, l’attore Spalletti punta all’Oscar© FOTO MOSCA
Alberto Polverosi
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Se ad agosto il premio come miglior allenatore del mese è andato a Mourinho per settembre la candidatura di Luciano Spalletti già oggi è forte, molto forte. Per sei ragioni fondamentali. La prima: ha fatto impazzire il “Maradona” con l’incredibile 4-1 sul Liverpool, restituendo un po’ di orgoglio e di fiducia anche a tutto il calcio italiano. La seconda: fra le squadre impegnate nelle tre coppe, il Napoli è l’unica a mantenere, almeno nei risultati, un minimo di continuità, come non ci stanno riuscendo Inter, Roma, Lazio, Juve e solo in parte Milan. La terza: dopo aver vissuto una notte trionfale per il 4-1 sul Liverpool di Klopp non era facile rimettere la testa a posto per una partita di campionato contro lo Spezia e invece, pur faticando, anche grazie alle scelte del suo allenatore il Napoli ha vinto. La quarta: dopo sei giornate è in testa alla classifica insieme all’Atalanta (che non ha le coppe) e al Milan (che è rimasto più o meno lo stesso dell’anno scorso), col miglior attacco. La quinta: con Spalletti in panchina, De Laurentiis ha diminuito di quasi il trenta per cento il monte ingaggi senza che la squadra diminuisse il suo rendimento, anzi. La sesta e ultima ragione è quella che indica il punto più alto del suo lavoro: la rapidità della ricostruzione di una grande squadra.

Spalletti, alchimia Napoli

Se per caso (sottolineiamo il “se” e anche il “per caso”) Spalletti non fosse rimasto troppo soddisfatto di un ricambio così vasto, se davvero fosse così, questo sarebbe un altro punto a suo favore. Se ne sono andati tutti insieme Koulibaly (e l’allenatore lo avrebbe voluto con sé per tutta la vita), Insigne, Mertens, Fabian Ruiz, Ospina, Ghoulam, Ounas e Petagna e sono arrivati il georgiano Kvaratskhelia, il sudcoreano Kim, Olivera, Gaetano, Raspadori, Simeone, Sirigu, Ndombele e Zerbin. Un mese e Spalletti ne ha fatto una squadra, che in certi momenti riempie gli occhi e in altri le classifiche. Ma in assoluto una squadra. Ha trovato la posizione a tutti, ha rilanciato Zielinski (sembra che il giorno della sua consacrazione definitiva si stia finalmente avvicinando), fatto esplodere Kvara, fatto segnare Simeone in Champions e Raspadori al “Maradona”, ricostruito una solida coppia difensiva Rrahmani-Kim, consegnato ad Anguissa e Lobotka il comando del gioco e alla fine riconquistato il Maradona. Tutto questo sulla scia di un’ultima stagione a lungo entusiasmante e conclusa con un posto in Champions.

Spalletti, doppia forza

Spalletti è un allenatore vero, è uno che insegna e gestisce, spiega e organizza. Ha un’idea in testa e sa come tradurla nelle mille lingue della squadra. Non è un’operazione semplice perché il suo pensiero tattico è ricco e profondo, ci vogliono applicazione e attenzione per seguirlo. Gli piace declamare le sue frasi: «Voglio che i miei calciatori vadano ad annusare il profumo dell’erba nell’area degli avversari», ama indugiare nelle conferenza stampa, cerca di portare le domande dalla sua parte e talvolta gli scappano via. Ma questo è il contorno. La sostanza è di un uomo di campagna che ha il pregio delle sue origini: ti dice le cose in faccia. Tanti anni fa, quando allenava l’Empoli, prima di un Empoli-Juve il giornale mi chiese un servizio con l’allora giovane tecnico di Certaldo (all’epoca abitava a Montespertoli) mentre insieme, di mercoledì, guardavamo una partita della Juventus in Coppa. Andammo a casa sua e il servizio finì alle 2 del mattino con vin santo e biscottini di Prato. La scrissi, questa dei biscottini, per una banale pennellata di colore. Due giorni dopo ci incrociammo davanti al Sussidiario di Empoli, dove si allenava la squadra. Mi fermò: «Oh, e un m’è miha (mica aspirato, ndc) garbato quello che tu hai scritto... (detto con la sua cantilena, ndc). I biscottini, il vin santo, le due di notte, poi ci vo’ io nello spogliatoio e mi prendono in giro», ma al posto di “in giro” disse un’altra cosa. Ecco, questo è Spallettone. Allegri lo chiama “l’attore”. Si può capire se a qualcuno non sta simpatico, ma siamo di fronte a un uomo vero, uno generoso, che non lascia mai per strada chi ha bisogno. Ha una doppia forza: gli amici e la famiglia. E ha una passione smisurata per il suo lavoro, per il gioco del calcio. I campionati li ha vinti all’estero (due, con lo Zenit), in Italia solo le Coppe con la Roma. Eppure nella capitale è passato alla storia per la storia di Totti, non per il gioco da stropicciarsi gli occhi, né per le coppe che in quella città mica è facile vincere. Sogna ancora lo scudetto. Oggi è in corsa.


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