Pagellone Napoli: i voti dopo il girone d’andata

Cinquanta punti conquistati sul campo, dietro il vuoto: Spalletti guida l'eccellenza della Serie A
Pagellone Napoli: i voti dopo il girone d’andata
Antonio Giordano
14 min
La sera in cui nacque un anno gonfio d’incognite, in quel Ferragosto torrido, s’intuì immediatamente d’essere già piombati nel cuore d’una rivoluzione: ma 163 giorni dopo, quando se n’è andato mezzo campionato e l’altra metà pare avvolta in un destino in qualche modo scritto (persino a caratteri cubitali), il sospetto d’essere sfiorat i dalla Storia va ingrossandosi e Napoli se ne sta perdutamente innamorata di se stessa, della sua avvenente Bellezza, di quell’abbagliante eleganza che sfilando sul blue carpet l’ha elevata al rango di Regina (o di Re, fate un po’ voi). Il 15 agosto, a Verona, stava nascendo una stella, era complicato rendersene conto mentre s’intravedevano nel rimpianto collettivo le sagome di Insigne e Mertens, di Koulibaly e di Fabian Ruiz, di Ospina e di quel Ghoulam che aveva solcato un’epoca mai più vissuta dopo l’escalation d’infortuni che ne hanno rovinato la carriera: e però ora, a 1710 minuti dalla fine, è almeno chiaro che il Napoli si è calato in una dimensione inedita, ribellandosi alle abitudini d’un calcio a volte piegato su se stesso, pigramente incollato a una riconoscenza di maniera, una gratitudine che secca l’anima e pure l’evoluzione.

Napoli, i voti a dirigenza e allenatore

Il calcio è un sentimento che però non può inaridire, né imprigionare lo sviluppo di un’Idea nuova, necessaria e forse indispensabile per rigenerare se stesso e un Progetto che conceda un futuro e che Aurelio De Laurentiis (9,5 per ora) ha voluto cavalcare attraverso le intuizioni - si direbbe le visioni - di Cristiano Giuntoli (9,5), il vertice d’una piramide che ha un’area scouting (9,5) piena di conoscenze. Le pagelle talvolta descrivono un momento, a scuola s’andava per trimestri o quadrimestri, e raccontano parzialmente un percorso che il 4 giugno si concluderà avendo in mano il rendimento complessivo, ciò che definisce i meriti, li cristallizza, li deposita nell’eternità e li rende definitivi. In quel Napoli che a Verona provvide a sbarazzare nuvole di pessimismo cosmico, le tracce del calcio di Luciano Spalletti (9,5) emersero limpide, come solchi su un terreno appena arato: e in realtà, quella era la risemina, che annunciava un raccolto insospettabile, i 50 punti e tutto ciò ch’è noto, che appartiene alla cultura di un allenatore tecnicamente insaziabile, un uomo che nel suo trentennale percorso ha sparso il nettare del buon gusto. 

Napoli, è quasi perfezione

A Verona, la fotografia di un istante, Alex Meret (8) visse però in un microcosmo torbido, con tante ombre intorno alla sua porta - Navas, Vicario... - e un umore preso a pallate: ne è uscito da solo, con il talento riemerso, con una solidità pure psicologica emersa prepotentemente. La legittima difesa è stata sublimata dalla autorevolezza di Kim (9,5), quello che «ma si può comprare un coreano per sostituire Koulibaly...», un generale dalla personalità spiccata, un leader dentro che ha fuso la propria natura con lo spessore d’un Di Lorenzo (8,5) inossidabile dinnanzi a qualsiasi forma di stress - 25 partite su 26, solo 17' saltati per sostituzioni, avendo prima Zanoli (sv) e ora Bereszynski (sv) come partner teorici - con l’esplosione tecnica di Mario Rui (8,5)divenuto un fattore rilevante nello sviluppo della manovra con Olivera (7), con la consistenza di Rrahmani (7,5)incurante dell’infortunio e delle nove gare a lui vietate, e che in Juan Jesus ha trovato un alter ego inattaccabile (7ed alle proprie spalle ha scoperto la serenità di Ostigard (6,5). Il calcio cerebrale di un Napoli d’avanspettacolo appartiene, nella scenografia, all’intelligenza di Stanislav Lobotka (9,5), un regista quasi fuori dal tempo, dentro copioni a cui offre il ritmo, le pause, i toni didascalici o persino epici. Lobotka è il capolavoro di Spalletti, capace di restaurare l’anima stessa d’un calciatore abbandonato ai margini del Napoli, che con la sontuosa raffinatezza di Anguissa (8,5e l’indefinita leggiadria - persino nell’incompiutezza - di Zielinski (7,5) declama il football verticale, da spargere con il palleggio e nello spazio frontale, con un equilibrio tattico che offre densità e pure il lavoro sporco. Ma nel mezzo, alle spalle di un terzetto che ha gerarchicamente le stimmate dei titolari, s’è fatto largo Elmas (7,5), il «gioiellino» ormai non più grezzo ma rilucente, e poi ha concesso ossigeno Ndombele (6,5), con il suo carico d’esperienza e una fisicità rigenerante a partita in corso; mentre Gaetano (sv)Zerbin (sv) studiano, crescono e imparano, accompagnandosi a Demme (sv)adagiato da Lobotka in una sala d’attesa. Ma le star, con le loro iperboli, i dribbling inebrianti e quella travolgente fantasia che invita al delirio è in Victor Osimhen (9,5) e Khvicha Kvaratskhelia (9,5), gli dei di una Napoli che diffondono sul Napoli il prodigio d’una creatività artistica che nel «Maradona» s’accresce - forse, chissà? - anche delle magìa dell’ispirazione.  

Napoli, bene anche Jack e Cholito

Osi più Kvara, o viceversa, rappresentano la combinazione fatale per raffigurare una forma d’edonismo calcistico, spruzzano benessere, racchiudono persino la trasgressione, perché in loro la banalità viene disintegrata e le convenzioni si dissolvono dinnanzi ad un tunnel, una veronica, un’accelerazione che trascini nel sogno, custodito pure sulle ali, quelle di Lozano (7) che ancora cerca la propria appagante normalità, e di Politano (7), ormai calatosi nel ruolo d’interprete d’uno spartito. E nel coro, in diciannove partite (più la Champions, volendo, e pure la «maledetta» Coppa Italia), si sono avvertiti gli acuti di Jack Raspadori (7,5)un talento puro per la Nazione, e il rumore sordo della famelica voracità - un must statistico - del «cholito» Simeone (7,5), un angelo dalla faccia pulita che sembra chiuda geograficamente un cerchio avviato da Diego: trentatré anni nel tormento e per l’estasi (che varrebbe dieci e lodi..). 

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