Ottavio Bianchi incorona Spalletti: “Il Napoli può vincere tutto”

L’allenatore del primo tricolore rivive il sogno 36 anni dopo lo storico trionfo con Maradona  che fece impazzire di gioia una città intera
Ottavio Bianchi incorona Spalletti: “Il Napoli può vincere tutto”© Bartoletti
Antonio Giordano
12 min

Quella fu la Storia, con la maiuscola: ma, dovesse accadere - il 4 giugno o, chissà?, anche prima - lo sarebbe pure questa. E in quel giaciglio della memoria sul quale sono adagiati i ricordi, non esistono i paragoni ma le emozioni. Trentasei anni dopo, con generazioni che possono vivere il loro tempo, Napoli può starsene raccolta in se stessa, dondolare gioiosamente in quella dimensione favolistica che le appartiene per intero e ripensare a quel passato, a quell’epoca che in parte rivive adesso - senza Diego ma con Kvara, né Careca ma con Osi - specchiandosi nell’estasi di Ottavio Bianchi, il pioniere d’una rivoluzione, che ignora la propria natura e rinuncia a ogni forma di cautela dialettica. 

Un bresciano di nascita, che vive a Bergamo Alta ma è napoletano dentro come si comporta dinnanzi ad una realtà del genere?

«Diventa più realista del re, nonostante tutte le lezioni ricevute sulla scaramanzia nella mia lunga vita partenopea. Non mi sentirete dire che lo scudetto è vinto ma non mi vieterete di pensarlo e tenerlo per me. E non è solo per quei tredici punti di vantaggio». 
 
L’allenatore che avvolse per la prima volta Napoli nel tricolore cosa pensa dei suoi probabili successori?

«Che sono stati tutti bravissimi. Siamo dinnanzi ad un’impresa che non è un miracolo, perché in questo dominio così assoluto c’è la competenza, la forza limpida del Progetto, che in vari casi sembra un termine usato per fare scena e che in questa circostanza è la parola giusta. E poi non è sempre detto che giocar bene ti faccia ottenere i migliori risultati, anche se quella resta la strada migliore, ma stavolta sta succedendo». 

Da cosa Bianchi è rimasto colpito in questi mesi?

«Dal coraggio di credere in se stessi, perché a luglio scorso nessuno osava sospettare che sarebbe venuto fuori un capolavoro del genere. Via Ospina, Koulibaly, Fabian Ruiz, Insigne e Mertens e spazio a calciatori che sono andati a scovare dove altri non avevano avuto la capacità di addentrarsi. Un rischio enorme, se ci pensate, che ha riprodotto un modello intelligente di fare calcio. Perché va detto anche altro, ad esempio: che il Napoli lassù non ci sta da oggi ma da un bel po’». 

E che in Europa ci va da tredici anni...

«Non vinceva e pazienza. Io non sono un uomo che dà giudizi in base ai risultati. Ma qui hanno costruito qualcosa di unico. C’è un gruppo meraviglioso, lo percepisci guardando gli atteggiamenti di chi sta in panchina, di chi viene sostituito, e questo è merito di Spalletti. Hanno cercato calciatori di talento e funzionali, non figure normali, siamo su livelli straordinari, e questo l’hanno fatto Giuntoli e quelli della area scouting. E poi hanno elevato il club al rango dei migliori: mai una difficoltà economica, sempre lungimiranti, stipendi pagati regolarmente, bilanci in ordine, nessuna disfunzione, e qui va applaudito De Laurentiis». 

Scelga un personaggio di riferimento dentro questa squadra.

«La critica è giustamente esaltata da Osimhen, che fa gol da gustarsi una e pure dieci volte; oppure viene incantata dalle evoluzioni di Kvaratskhelia, che fa sognare. Ma io che sono stato allenatore amo la chimica del calcio, la capacità di far esprimere il concetto di squadra, e quindi c’è tanto di Spalletti in questo momento. C’è un clima fantastico, nessuna polemica da parte di chi esce e l’allegria e la determinazione che ci mette chi entra». 

Non le chiederemo confronti improponibili con il suo trionfo dell’87.....

«E mi sembra chiaro. Sono passati trentasei anni dal mio Napoli; e non voglio neanche sapere quanti ne sono volati via da quando giocavo, invece, al San Paolo. Ma sarebbe come pensare di poter mettere allo specchio la Formula 1 del passato e quella di oggi, con macchine e anche piste stravolte. Io avevo con me un collaboratore, il preparatore dei portieri e quello atletico, che si occupava soprattutto del recupero degli infortunati. Ora ci sono staff di decine di persone. I giocatori adesso li segui non solo con gli osservatori ma con i vid eo. E lasciamo perdere l’alimentazione. Ci sono i computer, è cambiato l’universo, c’è la tecnologia che viene a sostegno, ma questa è una semplice annotazione, non sto sottolineando le differenze». 
 
Impossibile scendere pure nel confronto tra singoli, sarebbe un esercizio fuorviante.

«Per dirne una e tralasciando ovviamente Maradona. Ora ci si applica sulle eventuali analogie tra Osimhen e Careca, che non si possono riscontrare. Sono centravanti di epoche lontane, con un calcio che ha connotazioni mutate. Osimhen dà l’impressione che nella sua modernità ignori lo spazio, lo ritenga superfluo, perché è sempre lui che se ne impossessa. E Careca, con quei piedi, sentiva invece la necessità del dialogo con i suoi pari, voleva compagni che dessero del tu al pallone». 

Stanno succedendo cose che gli umani...

«Tredici punti dalla seconda hanno squarciato un abisso. E, mi creda, senza voler essere esagerato, io ho il sospetto che questo margine possa dilatarsi ancora. Alle spalle sono crollate tutte, ognuna con le proprie debolezze: c’è chi ha difetti strutturali, chi si è smarrito, chi ha sofferto il Mondiale, chi ha la rosa corta o sbaglia la partita decisiva. Ma questo elemento non ridimensiona i meriti del Napoli, semmai li dilata ulteriormente per tutto quello che abbiamo sottolineato in precedenza». 

E c’è una cifra spettacolare, poi...

«Sarà che sono preso dal sentimento, ma vederli giocare ti conquista. E’ una macchina semplicemente perfetta che fondendo le varie strutture - quelle dirigenziali con quelle tecniche - ha generato questa specie di mostro. Mi viene da immaginare che il campionato possa finire molto presto, pure aritmeticamente, perché non so come facciano le altre da avvicinarsi». 

Napoli, in Spagna pazzi di Osimhen

Questa condizione di superiorità induce a lasciarsi andare?
«Con l’umiltà che leggi negli occhi di chiunque, con quell’atteggiamento che si nota nel momento in cui Osimhen deve lasciare il posto a Simeone e Kvara deve fare lo stesso con Raspadori. Questa è una forza che può spalancare qualsiasi traguardo. Nessuna forma di divismo, niente». 
 
Si legge un’allusione in questa frase che sa di Champions.

«E perché mai non dovrebbe farcela una squadra che gioca su questi livelli e a questi ritmi? Chi in Europa mostra tutto questo potenziale? Ci sono delle grandi che sono in difficoltà, e forse sarà stata colpa anche della sosta, mentre il Napoli dopo aver perso a Milano ha semplicemente distrutto il campionato. Lo ha ridotto alla Bundesliga di qualche stagione fa, quando il Bayern festeggiava con un mese d’anticipo e non offriva mai agli avversari la possibilità di pensare che potesse crollare. La Champions League è una possibilità, certo». 
 
E' un’altra Napoli rispetto all’87.

«Perché la gente ha imparato a vivere in una dimensione del genere, senza neanche metterci gli eccessi. Il Napoli di De Laurentiis non ha mai dovuto soffrire crisi vere e sopportare la paura di poter retrocedere o di starsene nell’anonimato. Questo ciclo ha rotto definitivamente con la precarietà, ha dato stabilità, ed ha creato una maturità che s’avverte pure negli atteggiamenti e fa di Napoli una città innamorata della sua squadra». 

Direbbero i prudenti, mancano diciotto giornate.

«E’ un momento da vivere, un idillio da assaporare. Le gesta tecniche ti lasciano il segno, guardi com’è nato il gol di Osimhen e come l’ha poi abbellito lui. E il georgiano? E Meret che è stato per un periodo messo in discussione e invece sta lì e risolve le fasi complicate di una partita con le parate che servono? E quei tre del centrocampo? E i difensori. E i cosiddetti panchinari? Ma c’è da aggiungere altro...?». 
 
Faccia lei, se vuole...

«Mai è esistito un dominio del genere a livello tecnico, tattico, organizzativo, comportamentale, ambientale. Il senso del club che diventa giustamente prioritario; il collettivo che prevale sulle esigenze del singolo, e in questo calcio in cui un calciatore è un’azienda, questo diventa aspetto rilevante, decisivo, esemplare». 
 
Napoli-Roma le è piaciuta.

«Piena di cose tecniche e pure agonistiche. Tanto pressing, che però non ha impedito gesti di spessore. La voglia di vincere dei ragazzi di Spalletti, che dopo il pareggio l’hanno voluta vincere».

Come una squadra di cannibali....

«Uomini soli al comando. La metafora del ciclismo di Coppi, poi appartenuta a Merckx: quando c’era lui, gli altri correvano semplicemente per il secondo posto e spesso, nelle grandi corse a tappe, si capiva sin dalla prima giornata che non ci sarebbe stato un altro leader che non fosse Eddy. Sta andando così pure nel campionato di quest’anno».  


© RIPRODUZIONE RISERVATA