Tutte le certezze di Spalletti, ecco perché il Napoli non cambia

Contro lo Spezia dovrebbe essere riproposta la stessa formazione che ha battuto la Roma
Antonio Giordano
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DALL'INVIATO A LA SPEZIA - C’è qualcosa di freudiano oppure no, è tutto scritto nel libro bianco che un allenatore aggiorna al mattino e semmai anche alla sera: c’è qualcosa di nuovo e pure di antico, perché nel Napoli che s’incammina verso il Picco a testa alta, si scorge il passato, probabilmente la traccia di un’idea, semmai l’identikit di quella squadra che - a sette giorni di distanza dalla Roma - ricomincia allo stesso modo, 4-3-3, e con quegli uomini che adesso come allora hanno trasmesso sensazioni positive. Ora non è un caso, va così da un bel po’, ci sono certezze che si avvertono e dubbi che svaniscono: esisteva ancora una piccola perplessità, forse rimane ancora e però dev’essere avvolta nel mistero, però a destra Lozano s’è preso il posto e anche la scena, ha accelerato come non gli capitava da un bel po’ e ha sistemato Elmas e Politano un pochino più in là, incurante degli equilibri. Il resto, è il Napoli che si scandisce a memoria, riconduce quasi al calcio del passato, quelle delle formazioni declamate ad alta voce, e però non è inedito, ma per niente, e rappresenta un tempo ch’è così lontano nel quale solo le statistiche sanno infi larsi, non certo la memoria: Meret in porta; Di Lorenzo, Rrahmani, Kim e Mario Rui in linea; Anguissa, Lobotka e Zielinski per orientarsi; Lozano, Osimhen e Kvara per attaccare.

Boom

Il 15 agosto, un caldo che faceva boccheggiare, Spalletti si portava appresso i suggerimenti del ritiro, stava plasmando il Napoli a sua immagine e somiglianza, lasciò perdere il 4-2-3-1, si tuff ò nel tridente e lasciò fuori gran parte del mercato - da Sirigu a Ostigaard e da Olivera a Simeone - e ripartì (aspettando Raspadori e Ndombele) dai nove undicesimi di ciò che gli era rimasta, un modello funzionale e avveniristico che nel terzo posto s’era dolcemente specchiato. Gli eff etti di quell’estate, la rivoluzione tout court, finì per essere ridimensionata e al «Bentegodi», nel 2-5, entrò il sospetto che fosse semplicemente una scelta passeggera, figlia di quella fase esplorativa necessaria per conoscersi.

Un, due, tre

Da Verona, al Monza e poi a Firenze, cioè prima che poi diventasse indispensabile rivolgersi al turnover, fu il Napoli della prima giornata o quello della ventesima e della ventunesima, un calco che riproduce fedelmente l’originale del debutto, che sembra voglia sostenere adesso i principi indiscutibili d’una meritocrazia spalmata sul campo. Spalletti interviene quando può o se deve, si è lasciato andare in maniera robusta soltanto in Coppa Italia, con la Cremonese - per offrire visibilità a chi ne ha avuto di meno - e poi ha proceduto annusando gli allenamenti, radiografando la condizione dei singoli. Il Napoli che probabilmente gli ronzava in testa s’è ripresentato, eccome, con la Roma, ha distribuito il suo calcio per un po’ - un’ora - poi ha dovuto per un attimo subire il ritorno di Mourinho, prima che la panchina la sistemasse. Ma a La Spezia, ed è la seconda di ritorno, rigiocano quegli undici lì, quelli della settimana scorsa, quelli di sei mesi fa, quelli che rappresentavano i pilastri di una ricostruzione silenziosa, quelli che rimanendo se stessi sono però cambiati: perché adesso sono dentro ad un sogno mentre all’epoca sembravano dovesse semplicemente liberarsi dall’incubo delle ombre del passato. È il calcio, bellezza.


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