Non sono solo i ragazzi di Spalletti a fare miracoli sul campo, ma anche i conti del Napoli. Numeri meno poetici delle finte di Kvara ma altrettanto importanti per la solidità del club, presupposto essenziale della sua competitività tecnica: il bilancio 2021-22 è in linea con gli obiettivi di sostenibilità. Anzitutto un debito finanziario addirittura negativo, data la disponibilità di cassa (95,7 milioni) quasi doppia rispetto a due prestiti Unicredit da 52, forse ottenuti per accedere a un tasso assai conveniente (0,75%) più che per reali fabbisogni di cassa. Anziché con debito, il Napoli si finanzia quasi interamente con capitale circolante, cioè finanza operativa: dilazioni contrattuali e una gestione della differenza tra somme dovute ad altri club per operazioni di calciomercato e crediti da incassare. Peraltro, una modalità tipica delle società di calcio.
Struttura finanziaria leggera
L’impiego di capitale è minimo: 68 milioni di patrimonio netto bastano a finanziare le operazioni di una squadra oggi capolista con distacco sulle concorrenti. Il “trucco” alla base di una struttura finanziaria così leggera (e quindi poco costosa) è un attivo di bilancio altrettanto magro perché 169 milioni è il valore immobilizzato nella rosa, 355 l’intero attivo di bilancio. L’Inter è a 871, la Juve addirittura 931. Un attivo pesante impone un approvvigionamento altrettanto robusto di risorse finanziarie, attraverso debito o capitali degli azionisti. Nel volume dell’attivo la Roma è vicina al Napoli (364 milioni) ma con patrimonio netto negativo quindi dovendo finanziare col passivo un ammontare doppio. Il Milan, pur seguendo da tempo una strategia simile al Napoli, è su valori intermedi (502 milioni) perché ha rivalutato il marchio (185) e ha un patrimonio netto più che doppio. Tutto ciò serve a spiegare come dei bilanci non si debba guardare solo il conto economico: l’analisi del patrimonio offre chiavi di lettura altrettanto utili a capire la strategia aziendale. Sul piano reddituale, il Napoli ha chiuso la stagione in perdita, avendo perso gli incassi della Champions. Il fatturato si è ridotto di 52 milioni rispetto al 2021 (da 228 a 176) ma i costi dei tesserati sono il vero capolavoro del Napoli che sostiene 125 milioni di costo per stipendi e 70 per ammortamenti, contro 222 (160 più 62) del Milan, addirittura 320 complessivi dell’Inter e l’incredibile 480 della Juventus (seppure al lordo della nota “manovra stipendi”). Se la Serie A finirà come tutto lascia immaginare, per il secondo anno consecutivo lo scudetto andrà a un club attento alle regole di sana gestione con costi della rosa molto inferiori ai competitor più spendaccioni, dimostrando come l’equazione automatica “spese uguale vittoria” sia chiaramente falsa.
Valutazioni alle stelle
Facile pronosticare che la perdita dell’anno scorso (52 milioni) sarà recuperata nel 22-23, grazie ai diritti televisivi Champions (e relativi incassi) ed una riduzione del costo della rosa che dovrebbe ammontare a una cinquantina di milioni, grazie alle uscite eccellenti (Insigne, Mertens, Koulibaly, Fabian Ruiz) rimpiazzate da giocatori meno costosi.
Un limite serio sta invece nel risibile contributo che il Napoli riceve dal Maradona: 12 milioni di ricavi da gara sono un livello quasi da provinciale che la gestione tecnica del club non merita. Nel 22-23 il miglioramento è scontato e il pareggio del bilancio ampiamente a portata di mano. Sempre che il club non decida di monetizzare alcuni pezzi le cui valutazioni sono schizzate grazie a una stagione, fin qui, esaltante. Per Osimehn si parla di 120 milioni materializzabili a giugno: per il Napoli sarebbe un risultato economico importante. La gestione De Laurentiis ha sempre fatto uso accorto del player trading, in entrata ma spesso in uscita cedendo campioni come Higuain, Cavani, Lavezzi, Allan, Koulibaly all’apice dei rispettivi valori di mercato, senza troppo risentirne sul piano tecnico. Un modello di gestione che consentirà certamente al Napoli di restare ai vertici per molto tempo.