Spalletti oltre Sarri: il Napoli di oggi è più forte

Protagonisti e squadre a confronto ruolo per ruolo: si chiude il libro dei ricordi, adesso c'è un futuro di cui godere fino in fondo
Spalletti oltre Sarri: il Napoli di oggi è più forte
Antonio Giordano
4 min

CASTELVOLTURNO - C’è chi la Storia l’ha sfiorata, fu per un giorno o una settimana cosa volete che conti? E chi invece la sta scrivendo, fino a trasformare gli uomini in leggende: c’è questo calcio che vive in un limbo, essere o non essere, e che le emozioni non le cataloga inseguendo la logica, ma il battito del cuore. C’è stato un Napoli, appena cinque anni fa, che s’è preso la città, l’ha illanguidita e scatenata, l’ha elevata a sognatrice, l’ha fatta adagiare tra petali di rose, come se fosse in un’eterna luna di miele: e pure quando tutto si frantumò nella opacità di un albergo, non rimase traccia di abbrutimento, fu un dolore scatenato dal destino e da quei 91 punti trasformati in granelli di rabbia. E però, però, parve quel tempo sacro e irripetibile, l’opera unica di una Grande Bellezza calcistica, un Oscar per il miglior attore non protagonista (sul trono). E invece, proprio quando s’è avuta la sensazione che avessero portato via il Red Carpet e pure i figuranti, eccola la scena madre di questo Capolavoro che ora sta azzerando il tormento e persino quello strazio, c’è un altro Napoli, in qualcosa somiglia al predecessore, ha le radici toscane dei suoi Cicerone, il ritmo incessante del 4-3-3, analogie che però inducono ad accapigliarsi dinnanzi al dilemma esistenziale del calcio, ch’è un gioco e induce a giocare: qual è il migliore, questo o quello?

L’eleganza

Dev’essere l’aria a definire la cifra stilistica di due squadre simili eppure diverse, l’una piena di palleggio e contorsioni a sinistra, l’altra dominatrice nell’anima (e con il cervello), baricentro altissimo e una varietà - ma anche una fisicità e una panchina più ampia. Si può stare con il Napoli di Sarri o con quello di Spalletti, senza apparire «democristiani» per convenzione, però la differenza poi è nei fatti, nella capacità di sgretolare un campionato, di prenderselo (per il momento) con diciotto punti di vantaggio, di dominare ovunque - all’Olimpico di Roma, a San Siro con il Milan, a Bergamo con l’Atalanta al Maradona con la Juve - imponendo una legge, quasi una dittatura tecnico, tattica e spettacolare.

Difesa

Reina aveva più piedi rispetto pure a parecchi centrocampisti del campionato però Meret ha ritrovato se stesso, sicurezze tecniche; Albiol esibiva intelligenza e leadership; con il bionico Di Lorenzo non se la gioca nessuno; Mario Rui di oggi è superiore a quello di ieri, divenuto titolare dopo l’infortunio al novembre di un Ghoulam stellare, quasi inarrivabile; e però poi mettendo dinnanzi allo specchio Kim e Koulibaly si rischia brutalmente di finire fuori traccia: il Koulibaly di quella stagione rientrava di diritto tra i top ten (o five?) del ruolo e il Kim che è arrivato da lontano ha avuto però un impatto travolgente, ha cancellato i paragoni e i rimpianti con il senegalese, s’è elevato su livelli egualmente universali, come un alieno. Tra pesi massimi, si starebbe comunque al sicuro.

Centrocampo

Un altro Hamsik andrà scovato un giorno, semmai ricapiterà, per empatia e scuola calcistica fusi nel sentimento, Zielinski, piedi che sanno di zucchero filato, resterebbe (come accadde) nella sua scia; ma in questi duelli un po’ innaturali tra due epoche vicine eppure distanti, diventa complesso ondeggiare tra l’eleganza stordente di Anguissa e il famelico dinamismo di Allan, tra l’autorità di Lobotka nelle due fasi e la scientifica applicazione di Jorginho a scorgere angoli di passaggio: con le cinque sostituzioni, che nel 2018 non esistevano, risulterebbe più facile rivolgersi al turnover.

Attacco

Non c’è serata o pomeriggio che José Maria Callejon sia arrivato in ritardo sul cambio di Insigne e, dal punto di vista cerebrale, diventa esercizio insostenibile individuare un replicante di quei movimenti. E comunque, là davanti, mescolando gli uni e gli altri, si resta a galleggiare nella bufera di un giudizio che rimane scritto sul bagnasciuga: Osimhen è la stella che brilla, che offuscando pure Sua Maestà Mertens ha contribuito ad addolcirne il distacco; e Kvaratskhelia è l’oro che luccica - ora e poi in prospettiva - con il dribbling d’uno scugnizzo e un tiraggiro che va oltre Insigne. Però che spettacolo a metterli assieme e spudoratamente di fronte: ci sarebbe da divertirsi.


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