Napoli, è un plebiscito: "Date il 10 a Kvaratskhelia"

Le voci degli ex Bagni e Giordano. De Giovanni: "Ogni generazione dovrebbe avere un idolo, lo farei"
Antonio Giordano
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NAPOLI - La sera in cui Luca Ferlaino andò dal papà, l’ingegnere degli scudetti, del Napoli c’era la polvere e la memoria: a Brusson, in un ritiro pigro, con il passato a far pressione e un futuro colmo di paura, le notti si riempirono di sensazioni malinconiche, il rimpianto d’un tempo perduto. «Perché non ritiriamo la 10?». E Corrado Ferlaino annuì. Diego era rimasto il piacevole tormento dell’anima, l’altare di un settennato ormai irripetibile, e non poteva esserci, certo che no, un altro Maradona: non a Napoli, non allora. È volata via un’epoca e i ricordi si ammassano di nuovo, gli uni vicini agli altri, senza avere mai (mai) la tentazione di profanare quel Dio che ora s’avverte nell’aria, che però induce a chiedersi se sia giusto - come sostenne Del Piero - sottrarre a un giovane il diritto di sognare di emulare un idolo. Khvicha Kvaratskhelia è l’uomo in più, ti trascina nei suo dribbling com quel magnetismo che ha conquistato Bruno Giordano, un talento esagerato pure lui, che della Ma.Gi.Ca. è stato interprete e che non ha paura di osare, provando a rimettere quella 10 sulle spalle di qualcuno, lasciandolo immergere in una dimensione onirica: «Io lo farei. E sarebbe anche il desiderio di Diego, conoscendolo: dico di più, ne sarebbe orgoglioso. Credo che Kvara sia un degno erede: certo è inavvicinabile al più grande di tutti i tempi, lui come chiunque altro, ma la bellezza dei suoi gesti, la sua eleganza, meriterebbero un riconoscimento del genere».

Il parere di Bagni

Quello, il «10», è il simbolismo del calcio, la sintesi di un pensiero alto, e non c’è volontà di accostamenti irriguardosi, che Salvatore Bagni affronta con pudore. «Diego non si arrabbierebbe se venisse riconsegnata una maglia con il suo numero, però... Kvara è fenomenale però il rischio di avvitarsi su un paragone esisterebbe. Credo che fondamentalmente sia giusto che Maradona resti irripetibile com’è stato e magari, chissà, probabilmente questo è anche il pensiero di Kvara».

La città

Ma in questo calcio che perde i suoi eroi e che forse ne cerca, Kvara si sta trasformando nell’identità nuova di un Napoli geniale, il collante emozionale tra una squadra e la propria gente che s’interroga, come fa Maurizio de Giovanni nella sua versione da scrittore, un uomo da milioni e milioni di pulsazioni, non solo di libri. «Ci sarà chi si sorprenderà nel trovarmi favorevole ad una ipotesi del genere. Ma io credo che ogni generazione possa e debba avere un idolo. Questa auspicabile vittoria va celebrata: a Lui, con la maiuscola, abbiamo dedicato lo stadio e ciò lo rende unico. Sarebbe bello vedere una dieci sfilare in campo, ma non con la prospettiva che resti un anno solo ancora qui da noi. Se Kvara deve diventare il riferimento per i ragazzi di oggi, va benissimo; ma dargliela e poi tra dodici mesi accorgersi che le leggi del calcio ce lo hanno portato via, allora no».  
Maradona fu altro, indiscutibilmente, si prese la città e non l’ha mai perduta, fu il ribelle rivoluzionario che entrò tra i vicoli (pure) con la forza e il magnetismo di una personalità affascinante, e spinse gli intelletuali a raccogliersi nel «Te Diegum», fondato da Claudio Botti, presidente della Camera Penale di Napoli che per un po’ ha vacillato. «E per una notte intera, dopo il gol di Kvara all’Atalanta. L’ho pensato anche io, poi mi sono messo le cuffiette ed ho ascoltato la canzone di Rodrigo Bueno, ho ripensato a cosa divenne Maradona per il tessuto sociale di Napoli, alla sua figura quasi religiosa, anzi religiosa. Kvara è un artista ma è ancora e solo un giocatore. Diego è stato Napoli».


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