La denuncia di De Laurentiis: “Con altre regole avrei già vinto”

"Spalletti una felice intuizione, ho depistato tutti. Se l’avessi preso a stagione in corso, saremmo andati in Champions un anno prima. Per lo scudetto una super festa"
La denuncia di De Laurentiis: “Con altre regole avrei già vinto”© LaPresse
Antonio Giordano
7 min

C’è il sole nell’anima e quel senso di compiutezza che riempie: è inutile star lì a contare i giorni e le ore, come si farebbe per aspettare il lancio del film, qui il kolossal è completato, mancano semplicemente i titoli di coda e semmai un filo di musica a far da colonna sonora. Poi verrà il domani, si ricomincerà, il calcio di sempre, con le sue aspettative, le traiettorie irregolari e gli umori di pancia: si fa in fretta a dimenticare, è più semplice che ricordare a volte, anche se stavolta forse ne varrà la pena, accadrà, perché trentatré sono volati via nella malinconia o nella speranza, nella tristezza d’un Fallimento o nell’ansia di non rivivere più quel tempo.  

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«Siamo partiti dal basso»

Quando Aurelio De Laurentiis sale sul palco, nella sala dei Baroni dove stanno per consegnare il «Bearzot», intorno a sé c’è una Napoli composta nei suoi colori, calda dentro e vibrante ma con moderazione fuori, sente l’aria d’una primavera che le appartiene per intero, si gode i bagliori d’una felicità che implode e sta negli sguardi appagati della gente. «Quest’avventura bellissima è partita 18 anni fa. Ricordo che da Los Angeles andavo in questi campetti del Sud a prendere sputi in testa e a chiudermi negli spogliatoi, pensai: che carriera! E (sorrisino..) la mia famiglia era contentissima. Ma alla fine mia moglie è diventata tifosissima, si strappa i capelli quando gioca il Napoli, non si può vedere la partita con lei mentre io sono “inglese” nell'approccio. Sono felice per il premio vinto da Spalletti. La mia è stata una felice intuizione». E la sintesi della storia di una coppia che, nella convinzione popolare, sembrava destinata a scoppiare e invece sta ancora qui e se la spassa pur nella propria diversità caratteriale: anzi, è persino destinata a continuare, a prescindere da quell’opzione di rinnovo, da una pec che sa semplicemente di burocrazia, perché adesso entrano in gioco i sentimenti: «Spalletti resterà con noi».

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Revival

L’estate del 2021, quando la seconda qualificazione in Champions aveva spalancato scenari anche preoccupanti, Aurelio De Laurentiis mise assieme gli appunti della propria memoria, spaziò in quel universo altolocato delle panchine e, dopo essersi congedato da Gattuso, proprio al tramonto del campionato, mezz’ora dopo la fine di Napoli-Verona, ricominciò da dove si era fermato. A gennaio, sempre dopo una sfida con il Verona e un bruciante 3-1, aveva già pensato di cambiare allenatore, e le smentite successive servirono semplicemente per dare una pennellata alla facciata: però un paio di telefonate con Benitez furono fatte; una a Sarri e una ad Allegri pure; e una sera, di slancio, trovando a Milano, Adl andò al Bosco Verticale per parlarne con Spalletti. «Che avevo sentito già prima che andasse alla Roma e mi aveva detto di no. Ritentai: Gattuso in quel periodo non si sentiva bene e dissi a Luciano: “Ho un grosso problema, ho bisogno di te”. Niente, mi rimandò alla fine del campionato. Siamo andati avanti fino a giugno perché sono un gentiluomo e non ho voluto segare Gattuso. Forse, avessi agito sarei andato prima in Champions». Furono settimane intense, con dialoghi a più voci, con incontri a Roma (teoricamente) segreti per tracciare in alcune cene con Allegri un possibile progetto; per lasciarsi ispirare da successive «tentazioni» portoghesi, necessarie a sedurre Conceiçao; per convincere infine Spalletti, interpellato ripetutamente, a dirgli finalmente sì: i presidenti, più in generale gli uomini di calcio, fanno così, giochicchiano su vari tavoli, studiano o allenano l’istinto, poi decidono o sono indotti a farlo da situazioni non sempre governabili, rielaborate in maniera funzionale nella loro narrazione e con verità che hanno comunque, sempre almeno un’altra faccia: «Nel frattempo per depistare tutti passai per Conceiçao, per Allegri, che venne per quattro volte a farmi lezione di calcio nei miei uffici e poi alla fine venne il bravo Luciano a riportarci tra i primi tre in Italia e anche quell’anno, lo scorso, poteva accadere qualcosa di diverso». Perché gli scudetti perduti, in cima ai pensieri quelli del 2018, sono ferite che non si sono mai rimarginate, se non superficialmente, ma sono cicatrici dell’anima che De Laurentiis suturerà solo se... «Se le regole del calcio fossero diverse forse, lo avremmo portato a Napoli già altre volte».

Superfesta

Chissà cosa accadrà, nel momento in cui l’aritmetica diventerà una sentenza («Sarà una super festa, ci collegheremo con quindici città nel Mondo: abbiamo ottantantré milioni di simpatizzanti, come ci è stato certificato da un istituto di ricerca, e quindi, laddove dovesse accadere quello che speriamo accada, ci connetteremo con i nostri tifosi all’estero») e chissà cosa succederà quando poi, come ogni estate, si finirà per ritrovarsi in quel caos che si chiama mercato con le sue bancarelle dei sogni o degli incubi, dipende dai soggetti: «Vedremo. C’è sempre la proposta indecente ma i numeri li fanno gli altri e parlare di soldi è sempre un fatto volgare. Noi aspettiamo. Nel Napoli ci sono dei ragazzi straordinari. Però i miei contratti sono unici, vengono dal mondo del cinema, quindi nessuno si muove se noi diciamo di no». L’idea è di aprire un ciclo, lasciando che questa specie di luna park costruito in diciotto anni, resti lì, immutabile, semmai arricchito d’altro da sistemare al fianco di Osimhen e di Kvaratskhelia. Ma è ancora presto per sbilanciarsi, per entrare nel dettaglio su quell’universo perfido che poi chissà se si potrà domare però, intanto, val la pena di starsene con la testa lungo le highway di Los Angeles e sentirsi nelle orecchie il dolce suono di quel ciak che in fin dei conti gli ha cambiato la vita: «Se faccio film che piacciono solo a me, sarebbero dei grandi insuccessi. Io ho lavorato per la nostra gente, per chi ha il Napoli a cuore. Nel 1996 avevo immaginato di unire cinema e calcio, nel ‘99 mi presentai con un assegno di 125 miliardi e Ferlaino mi fece causa. Nel 2004 ero a Capri per le vacanze e non sapevo che il Napoli fosse fallito. Ci provai, contro il parere di mia moglie e di mio figlio Luigi, che voleva impadronirsi di Hollywood». Non c’era uno scudetto nella sceneggiatura di quell’epoca. 


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