Se il Mondo è una palla, da Napoli a Cagliari, e passando da Frosinone, in fin dei conti è un attimo in cui si galleggia in un sogno, si solcano le vie di terre rigogliose e le dolci acque di mari infiniti. È una favola che si assapora lungo i sentieri del calcio, nella quale non ci sono orchi né luoghi comuni, è un tempo nuovo - il 3.0 - che demolisce la retorica e dà un senso compiuto ad una rivoluzione in realtà assai più ampia, che finirebbe a Catanzaro e pure a Catania, che aspetterebbe di sapere se potrà approdare sino a Foggia. Ma queste sono altre storie. Bentornati al Sud, nella magìa di questa stagione in cui il sole ha baciato seriamente i più belli, il Napoli di Spalletti e poi il Cagliari di Ranieri, i simboli di quest’annata abbagliante tra scudetti freschi e antichi, una mescolanza tra il presente degli Osi e i Kvara e il passato travolgente dei Riva e degli Albertosi, capolavori sceneggiati da Aurelio De Laurentiis e prodotti da Tommaso Giulini, gli opposti che si attraggono. La Serie A, la A come Aurelio, è la rappresentazione viva dell’Idea, la raffigurazione solenne dell’Arte tout court, la materializzazione d’un concetto che sembra astratto - si chiama Progetto - che invece esprime il fosforo e la visione di Luciano Spalletti, il talento e la cultura di Cristiano Giuntoli, il lucido coraggio d’un presidente che sa andare oltre le righe come pochi, in tutti i sensi, e che ha estirpato consuetudini obsolet e dimostrando che volere è potere, però evitando di dissanguarsi. La Serie A è un macro-universo che ha allargato i propri confini, si è spinta a Frosinone, altro esempio autorevole di management, ha concesso - con la lungimiranza e la perseveranza di Maurizio Stirpe - di fondere la saggezza di Guido Angelozzi alla esuberanza plastica di Fabio Grosso per riprendersi, come direbbero in una serie tv, tutto ciò ch’era stato suo, quel che s’è conquistato sviluppando concetti innovativi, strutture e investimenti.
Serie A, Mezzogiorno di fuoco
Ma la Serie A è adesso pure un’isola felice, ha lasciato sul bagnasciuga i detriti delle onde anomale, qualche scarabocchio che Giulini ha sistemato nella stiva della memoria, e si è riappropriato attraverso quel patrimonio dell’umanità che si chiama Claudio Ranieri il proprio vissuto. La Serie A, che il Cagliari ha strappato ai sessantamila di Bari (la promozione sarebbe stato un altro capolavoro della famiglia De Laurentiis, visto che a Bari comanda il figlio Luigi), un kolossal per la B, adesso si lascia carezzare piacevolmente da una città che il calcio l’ha rivoltato, e in che modo, in quel favoloso ’69-70, stagione di lotte serrate nel caro, indimenticabile Amsicora, è una spruzzata di borotocalco che rinfresca e rallegra, perché dei ricordi non si può fare a meno. Il Napoli impiegò tre anni per arrivare dalla C alla A, dimenticare le scartoffie del Tribunale e cominciare ad elaborare quella formula magica che l’avrebbe trascina to tra le stelle: il titolo è la sintesi d’una filosofia aziendale che ignora le regole non scritte d’un sistema, quello del calcio, deformato dai luoghi comuni, dai ragionamenti di pancia, dalla retorica tanto al chilo che lascia sistematicamente macerie. Tommaso Giulini, un Bocconiano che ha sistemato i conti del Cagliari e ora pure il suo destino, s’è dovuto industriare su un terreno diverso, certo fertile cinquant’anni fa però poi divenuto limaccioso: ma stamani è un altro giorno, val la pena d’assaporarlo, specchiandosi nella propria tenacia. I campioni dell’Italia in carica sono quelli che dal 2010 vanno in Europa; quelli che hanno sfiorato il titolo almeno tre volte; quelli che hanno avuto la forza di andarsene a passeggio con Rafa Benitez e Maurizio Sarri, con Carlo Ancelotti e Luciano Spalletti, quelli che hanno fittato una suite in Champions League, e ci stanno da pasc ià , lasciandosi sommergere da un benessere economico che stritola antiche certezze. I campioni dell’Italia del ’70 risplendono ancora oggi con il Cagliari proiettato in serie A dai loro nipotini, i figlioletti di Ranieri, un Re per l’eternità da Leicester in poi, guarda un po’ esploso proprio a Napoli. È un Mezzogiorno di fuoco.