È sempre la notte che porta consiglio: e proprio quando ormai pareva fatta, il contratto per sette mesi e ambizioni da riverniciare, Aurelio De Laurentiis ha sistemato nelle tenebre la domanda da cento coltelli. Ma ne è bastato uno per tagliare a fette tutto quello che era stato rapidamente costruito, un castello di cartapesta in cui la lama s’è intrufolata, e prima di andarsene a letto, si sono cominciate ad allungare le prime ombre. «Ma tu il Napoli come intendi farlo giocare?». Gli allenatori, e giustamente, hanno recinti nei quali non è consentito l’accesso, non subito, e Igor Tudor, un “sergente di ferro” per definizione dietro il quale si nasconde però un uomo sensibile e pieno di legittimo orgoglio, pur sapendo che in quel momento si stava decidendo il proprio futuro, ha giocato pulito, frontalmente, con una libertà da portarsi appresso. «Vedrò la squadra, le caratteristiche di ognuno e glielo dirò». E in quel preciso istante, in un colloquio durato poco - quasi niente - Igor Tudor ha capito dall’espressione di Aurelio De Laurentiis che Napoli sarebbe rimasto un plastico sogno da accarezzare ma al quale rinunciare, standosene nel proprio rigore.
Napoli, il retroscena Tudor
Perché un confronto non può spegnersi rapidamente, se non ci sono retropensieri nel proprio interlocutore: Adl aveva probabilmente cominciato a pensare a Mazzarri da qualche ora, con il telefono poi si accorciano le distanze e si soddisfano alcune curiosità, e a tardissima sera lo scenario stava cambiando, nonostante Tudor si fosse accontentato di sette mesi di contratto, sufficienti per mettersi in discussione. La stessa proposta, era stata anche presentata a Mazzarri, a Roma per questioni personali e ormai già nell’agenda di De Laurentiis per un appuntamento all’alba del martedì, il giorno in cui sarebbe stato necessario decidersi, per evitare che Garcia tornasse a Castel Volturno ad allenare, per soffocare imbarazzo e disagio di incroci a cui sottrarsi. Tanto la questione, per risolverla, era sempre la stessa: da dove ricominciare? Perché il 4-3-3 è il mantra, indiscutibile: e pazienza se il futuro interprete nel proprio curriculum vitae abbia una costante frequentazione con altro, con la difesa a tre o a cinque, con codici diversi, adattabili con degli scivolamenti, con dei ritocchini al proprio vissuto. Quando Roma - e anche Napoli - s’è svegliata, quando De Laurentiis ha parlato con se stesso, ancora prima di farlo con Mazzarri, Tudor era già diventato un frammento di quest’altro casting, assai più moderato rispetto a quello estivo, e si stava «perdendo» oltre la linea difensiva, non al di là di se stesso.