Venditti: «Vi racconto la mia Roma»

Intervista esclusiva al cantautore romano: «Garcia mi piace molto, giusto confermarlo Ranieri stava per vincere lo scudetto, poi Vucinic e Perrotta finirono per fare a botte»
FOTO Venditti al Corriere dello Sport: targa e "firma" in prima pagina
Guido D'Ubaldo
9 min
ROMA - Un’ora a parlare di calcio. Antonello Venditti ci è venuto a trovare in redazione. L’occasione il lancio dei suo ultimo album, Tortuga, da qualche settimana in testa alle classifiche. Un grande successo per la sua diciannovesima collezione di studio, dove si mescolano tradizione e innovazione. Nella familiarità di un suono e uno stile inconfondibili, c’è un Venditti nuovo, quasi sorprendente. L’amore viene celebrato con sincerità e passione, l’artista canta quello che sente, quello che ha vissuto e che vede. «Non sono Maradona, ma parliamo di calcio, sono venuto soprattutto per parlare di calcio». Eccoci allora a parlare di calcio, tra ricordi e rivelazioni inedite, tra conoscenze approfondite e una passione che viene subito dopo la musica.

Quando registrò “Roma Roma Roma” portò in sala d’incisione i giocatori. Oggi sono quasi tutti stranieri. Sarebbero capaci di cantarlo?
«Sarebbe il momento giusto, cambia la cultura, il gioco del calcio, la fruizione del calcio stesso. Non dobbiamo essere nostalgici di quello che è stato, il calcio è uno strumento culturale molto potente. Enorme. Il movimento culturale più importante del pianeta».
Pasolini diceva che il calcio è l’ultima rappresentazione sacra che ci è rimasta.
«E’ un amore profano come dico nella canzone “Cosa avevi in mente”. Se riusciamo a modificare il nostro atteggiamento è molto positivo. La cultura che vuole applicare la Roma è l’acquisizione del risultato attraverso il gioco, ma è un’astrazione se il mondo va da un’altra parte. Però hai la possibilità di combattere in un mondo che la pensa in modo diverso».

Qualche anno fa fu esposto uno striscione in curva: “mai schiavi del risultato”. Il tifoso può non essere schiavo del risultato?
«Se il tifoso fosse più sportivo sarebbe bello. Io sono tifoso della Roma ma non riesco a tifare contro una squadra che gioca bene. Bisogna ripensare alla funzione popolare che ha il calcio e che non può dargli solo la tv a pagamento. Una squadra perdente ha il tifo perchè c’è passione».

Quella passione che ha spinto i tifosi a stringersi intorno alla squadra dopo la sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni
«In quella occasione feci il concerto più utile della mia vita. E’ bello fare concerti quando si vince, ma quello storico è quello dell’84, la musica ti fa capire che non si vince e non si perde a. Qualche volta gli allenatori devono far vedere ai giocatori le vittorie che potevano essere sconfitte. Ma senza il guizzo di un fuoriclasse non c’è calcio. Il singolo può risolvere la partita, poi si vince in undici. Ci deve essere il senso della collettività».

Lei ha studiato il calcio di Zeman. Oggi è superato?
«No, devi capirlo, ci vuole un interprete. Zeman non è stato capito e forse non si è fatto capire a sufficienza. Nelle sue squadre sai quando ti fanno gol. Allora ci vorrebbe un aggiustamento. Dovrebbe trovare una contromisura».

Il 4-3-3 di Zeman è diverso da quello di Garcia.
«In quello di Garcia gli esterni tornano, con Zeman se tornano è finita».

Zeman aveva due esterni campioni del mondo, Candela e Cafu.
«Certo, conta la forza dei calciatori. Poi Capello li ha fatti giocare a cinque e li ha spostati più avanti. Per me l’allenatore si vede in campo, dopo cinque minuti io riesco a capire se c’è un giocatore da togliere. Una volta Capello mi ha fatto capire quanto sia forte e sicuro. Era al Milan e fece entrare Ba e dopo pochi minuti lo ha tolto. Non aveva capito perché lo avesse fatto entrare».

Qual è stata la sua Roma più bella?
«Noi ci accontentavamo di poco, abbiamo visto alla fine della carriera i giocatori più belli, tipo Schiaffino e Angelillo. Charles e Manfredini non erano fuoriclasse, ma facevano gol. Peirò è stato un bel talento ma non un campione. Da ragazzino vidi Roma-Real Madrid in amichevole con mio padre. Mi pare finì 3-3, giocavano Puskas, Di Stefano e altri campioni. La Roma rispose con Lojacono e Angelillo, robetta seria...»

All’epoca andava in tribuna Tevere e portava le pastarelle...
«Trovai il mio posto da quando Mimmo Spadoni creò il Roma Club Roma Capoccia e da allora andai sempre lì. Doveva essere il 1976, dopo Lilly e anche dopo l’inno che era del 74-75, l’anno del terzo posto. Andavo a vedere la Roma di Liedholm al Tre Fontane. Chiesi chi fosse l’attaccante più famoso della Roma, mi risposero Penzo...»

E’ rimasto affascinato da Liedholm?
«Senza dubbio. Mi ricordo la presentazione di Batistuta in curva sud, era vicino a me. Chiesi a Liedholm: “Il portiere l’ha valutato bene?“. Lui mi rispose: “Con questo centrocampo è difficile tirare in porta”. Ed è esattamente quello che è successo».

Facciamo un gioco. Come finisce la stagione secondo Moggi?
«Va tutto al suo posto: la Juve ha già vinto lo scudetto e poi forse vince anche la coppa dei Campioni. Glielo auguro, mi sono trovato partecipe l’altra sera contro il Real. Non ce l’ho fatta a tifare contro, è stato automatico. Sarò criticato dai romanisti, ma a me piace il calcio, non ho gufato. Mercoledì mi sono sentito italiano, diciamo questa brutta parola. Ho assistito a Italia-Spagna».

Andiamo avanti.
«Sì, dicevamo, il piano Moggi: la Juve ha vinto lo scudetto e vince la Coppa dei Campioni. La Roma arriva seconda, la Lazio vince la Coppa Italia, il Napoli vince la Coppa Uefa. E tutti vissero felici e contenti. Poi c’è il piano del tifoso della Roma. Non è il mio eh....».

Sentiamo
«La Juve perde a Berlino e vince la Coppa Italia battendo la Lazio. Il Napoli perde la finale di Europa League e si riscatta in campionato, battendo la Lazio che arriva quarta».

Parliamo un po’ della Roma.
«Sono curioso di sapere chi sarà il prossimo anno il portiere titolare».

La Roma rischia di perdere Nainggolan
«Dovrebbe adeguarsi».

Sui social i tifosi a volte criticano i giocatori per la loro vita privata.
«Zeman marcava tutti i giocatori, aveva le spie... Gli capitò Vagner. Era il primo agli allenamenti, ma senza passare da casa... alle 8,15 stava già a Trigoria».

I calciatori più amici
«Tutta la Roma dello scudetto 82-83: Conti, Ancelotti, Nela. Righetti e Cerezo vennero dopo. Ma Pruzzo, certo, il bomber. Noi fumatori andavamo d’accordo. Quando finivamo le cene a piazza de’ Ricci, c’erano mille sigarette nei posacenere ».

E Di Bartolomei?
«Ho avuto un rapporto bello, l’ho seguito anche dopo, a Castellabate. Ha sempre avuto quella sottile vena di pessimismo ».

Ranieri ha sfiorato lo scudetto con la Roma
«Perse lo scudetto in Roma- Samp, quando Perrotta e Vucinic finirono a fare a botte. Ranieri è un allenatore inglese, gli dai la squadra fatta bene e vince, riesce a dare il massimo con la squadra che ha. Si avvale di un grande staff, l’ho visto negli spogliatoi, non confonde le idee ai giocatori. Dice due cose, senza urlare. La carriera vera l’ha fatta fuori, ha creato giocatori come Terry e Lampard, è fatto per un calcio diverso. Ha tolto Totti e De Rossi e ha vinto il derby. Quel giorno c’era Zeman a casa mia. Disse: “pagherà dopo”. Quella sera poi ci siamo ritrovati a cena insieme ».

La Roma confermerà Garcia
«A me Garcia piace moltissimo. Fanno bene a tenerlo e dovranno sostenerlo. Ho conosciuto bene Spalletti e Ranieri. In passato sono intervenuto per recuperare Vucinic. Ranieri mi disse di convincerlo a restare fino alla fine del campionato, lui voleva andare via a gennaio. Ho fatto il mio dovere. Un’altra volta ho fatto una volata, da una parte alll’altra di Roma. C’era stato il caso Panucci, che aveva mandato a quel paese Spalletti. Dissi a Panucci che doveva chiedere scusa a Spalletti. Mi giurò che lo avrebbe fatto, ma ha fatto passare quattro settimane e restò fuori dalla Champions League».

Anche Montella è un suo amico.
«Ho assistito al più bell’addio al calcio, il suo. Nel campetto di Forio, con tutti i suoi amici, partita tosta, con tutti giocatori veri. Questi sono gli addii al calcio, non quelli finti con 80.000 persone. Poi siamo finiti a mangiare il coniglio selvatico più su dell’Epomeo, dove si arrivava solo a piedi».



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