Di che Roma stiamo parlando?

De Rossi (3,5 milioni)© LAPRESSE
Giancarlo Dotto
8 min

Mi calo, senza troppa fatica, nei panni del tifoso romanista e inizio a grattarmi furiosamente. Scaramanzia? No, ansia. Mi scopro pieno di bolle, tu chiamale se vuoi apprensioni. Provo a guardarmi intorno, l’erba del vicino, e resto male per quanto è sempre più verde o comunque incline a diventare. Inter e Milan sono vicine all’accordo per il nuovo stadio da 60mila posti, quattro anni di cantieri nei pressi del vecchio San Siro. Investimento, circa 600 milioni per un impianto avveniristico. Il sindaco Beppe Sala attende solo il comunicato per aprire il tavolo. Due società solide, ambiziose, pronte a investire. Specchio della loro città, hanno rischiato lo sprofondo, sono ripartite alla grande. A giugno l’Inter sarà libera dal settlement agreement concordato con l’Uefa e potrà respirare, alias operare sul mercato. Ivan Gazidis, amministratore delegato del Milan e membro del board Eca, favella trame grandiose, su scala internazionale, insieme al collega Andrea Agnelli.

 

Della Juve, nemmeno a parlarne. È già ora un pianeta a parte. Il cortile di casa nostra lo userà sempre di più come un’estensione di Villar Perosa dove far ruzzolare le sue galline dalle uova d’oro. Da Cristiano Ronaldo in poi, freneticamente e lucidamente lanciata nell’internazionalizzazione del suo marchio, aspettando la super Champions. Il Napoli? I tifosi sono spaccati, contestano De Laurentiis, ma stiamo parlando di un club che in pochi anni ha costruito solide certezze, a cominciare dall’allenatore. Ancelotti è un nome che equivale a un progetto. La tendenza è trattenere i giocatori forti e sostituirli, quando proprio devono, migliorando la rosa e quasi mai sbagliando le scelte. La stessa Lazio ha una sua identità riconoscibile. Lotito, vedi De Laurentiis, può non piacere ma ha salvato il club dall’inferno e lo tiene coerentemente sulle soglie del paradiso, qua e là varcando la soglia, tra plusvalenze, operazioni oculate di mercato e una feroce valorizzazione dei propri talenti (e relativi contratti).

Faccio il giro delle cinque chiese, torno a Trigoria e non so a che santo o palo aggrapparmi. Assenza di gravità o progetto latitante?

Che Roma sarà oggi è una domanda da fare solo se hai una benzodiazepina a portata di mano. Tifoso a dir poco smarrito e confuso. Non sa dove girarsi per ammirare meglio, si fa per dire, il suo disagio. Se le certezze sono il sale della vita, la Roma oggi è una minestra sciapa. Dubbi e domande crescono come funghi. Troppe domande e poche risposte, sperando che non siano tutte tossiche. La declamata valorizzazione del marchio non avrà lunga vita se non si accompagneranno risultati sportivi e, prima ancora, continuità tecnica e organizzativa. Le macerie lasciate da Monchi, equiparabili a quelle di un sisma magnitudo 9, rendono tutto maledettamente più complicato. Baldissoni e Fienga possono declamare in bello stile, ma sanno che devono scavare a mani nude e non sarà facile.

Cominciamo da Boston. Se è vero che Pallotta esiste in quanto stadio, siamo messi molto male. Qualcuno non ha informato preventivamente di come funzionano le cose in certa Italia, a Roma soprattutto. Sarebbe bastata a suo tempo una cena informale con Di Pietro per capire a cosa sarebbe andato incontro. Tema, tra una carbonara e un sorbetto, la dazione ambientale. Ma oggi quelli che tifano perché Pallotta e la sua emanazione londinese-sudafricana svaniscano nel nulla non sanno quello che tifano. E di quanto ci sia un nulla più nulla del nulla. Chi dopo Pallotta è oggi una domanda a dir poco allarmante. Il nuovo direttore sportivo? Mistero. La soluzione sarebbe ovvia, ce l’hai in casa. Puntare su una risorsa come Ricky Massara o insistere sull’esotico. Ma ci vorrebbe l’audacia dell’ovvio. Troppo, forse, per questa Roma. Si ascoltano con sufficiente orrore nomi esotici (Monchi non basta da qui all’eternità?) o altri nostrani che dovrebbero portare nel marsupio allenatori totemici (Conte?).

Già, l’allenatore. Altra nebulosa totale. Sor Ranieri, esaurita la sua scorta di toccanti sermoni, sembra restare con un cerino assai corto in mano, diciamo un paio di mesi circa. Mirabolante a Leicester, ma a Trigoria non basterebbe oggi un’astronave di maghi e guaritori. Paulo Sousa poteva essere un nome su cui puntare per una rifondazione tecnica e intellettuale della Roma, ma non convinceva chissà chi o cosa. La non certezza del nome è zero al confronto della non certezza sul criterio. Che allenatore per la Roma che sarà? Un nome carismatico su cui spendere tutte le risorse o l’ennesima scommessa? E, soprattutto, di che Roma stiamo parlando? Una Roma da Champions o da Europa minore? Con il senno di oggi, sembra difficile ricompattare in poco tempo una squadra così slabbrata, malandata e, adesso sappiamo, anche nevrastenica. Il mal di Siviglia sarà lungo da guarire, nell’attesa la Roma dovrà provare a rifondarsi tecnicamente sapendo che i suoi pochi, residui nomi spendibili sono psicologicamente logori (Dzeko), tecnicamente aggredibili (Manolas, la clausola) o anagraficamente cagionevoli (Kolarov e De Rossi). A proposito di De Rossi, forse l’unica, vera certezza di questa Roma, lui sarà il primo a cercare il proprio destino nello specchio onestissimo di cui dispone. La Roma eventualmente senza di lui, calciatore, non può che diventare la Roma infinitamente con lui, allenatore. Per me, La Soluzione. C’è anche Zaniolo, tra le papabili certezze. Ma troppi appetiti su di lui e la Roma ha già dimostrato che non sa difendersi dagli appetiti altrui.

Insomma, smettendo, a fatica, i panni del tifoso, troppe domande e troppo poche risposte non hanno mai fatto la felicità dell’uomo.

 


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