Pallotta venga al Corriere

Pallotta venga al Corriere© Getty Images
Alessandro Barbano
5 min

Fonti ufficiose dicono che Pallotta non sarà all’Olimpico il 26 maggio per l’addio di De Rossi. Gli consigliamo allora di ripensarci. Venga qui a spiegare come ha fatto a bruciare sulla pubblica piazza l’ultima bandiera che gli restava tra le mani. Ci offriamo di ospitarlo nella redazione del Corriere dello Sport, e di rimetterlo in contatto con quei tifosi che ha illuso, tradito e perduto. Ma venga a spiegare come sia potuto accadere ciò che non era neanche pensabile, e invece è accaduto. Che un campione e insieme un simbolo dell’identità sportiva romanista fosse messo alla porta senza un motivo appena ragionevole.

Quarantotto ore dopo, il divorzio tra De Rossi e la Roma va assumendo i contorni del più grande autogol societario degli ultimi anni, arricchendosi di troppi dettagli paradossali. Anzitutto il racconto sconsolato che ne fa il capitano giallorosso. L’ha registrato un tifoso e da ieri mattina rimbalza sugli smartphone di mezza Capitale (l’altra metà festeggia la Coppa della Lazio). De Rossi racconta in che modo è stato convocato e licenziato in tronco. Nonostante si fosse offerto di rinunciare al rinnovo del contratto e di giocare, per così dire, a gettone di presenza. Offerta in un primo momento rifiutata dal Ceo giallorosso, Guido Fienga. Il quale poi richiama il capitano umiliato e deluso per dirgli che il presidente ci ha ripensato, che a cottimo potrebbe ancora tenerlo. De Rossi a quel punto ringrazia e declina l’invito. Sentire che lo racconta, con l’umiltà che è solo dei campioni, mette i brividi.

L’ultima immagine di gioco impressa nella memoria dei tifosi è quella del capitano che conquista la palla in un tackle coraggioso, s’infortuna ma esulta, ancora a terra e nonostante il dolore, quando pochi secondi dopo Dzeko conclude l’azione, segnando il gol della vittoria contro l’Udinese. Era il 13 aprile scorso. Una settimana prima era stato lo stesso De Rossi a regalare i tre punti della Roma a Genova contro la Sampdoria, con un gol in mischia. A un mese dall’infortunio e a sedici anni dal suo esordio, la Roma gli dà il benservito. Dopo seicentoquindici partite e sessantatré gol. Che a raccontarle tutte non basterebbe una vita.

Ma ancora più inquietante è il modo in cui la Roma comunica il divorzio. Fienga parla di scelta aziendale, ma tutti capiscono che a decidere sono stati Pallotta e il suo consigliere Baldini. Poi, quando la contestazione monta, il vicepresidente Baldissoni manda a dire ai tifosi radunati a Trigoria che è disposto a riceverne due o tre nel suo ufficio dell’Eur. Offerta rifiutata e clima incendiario davanti ai cancelli del centro sportivo. Così per motivi di sicurezza vengono immolati lo stesso De Rossi, Ranieri e il direttore sportivo Massara. Nessuno dei tre rappresenta più la società. Ma saranno proprio loro a parlare alla folla rumoreggiante a nome della Roma. E a dire uno spicchio di verità. De Rossi è stato rottamato in una triangolazione telefonica con Boston e Londra. «Io naturalmente l’avrei tenuto», dice Ranieri, ricordando di essere, oltre che un tecnico, un tifoso giallorosso. E un uomo dignitoso. Fine delle trasmissioni. Ma anche fine di tutto. Di qualunque struttura, organizzazione, strategia, tattica societaria. Di qualunque immagine, o brand, come piace dire ad alcuni manager di sport, convinti che l’etica e l’educazione possano essere surrogate dal denaro che circola nelle loro tasche. Di qualunque fiducia, relazione, affidamento in uno spogliatoio che diventa da oggi la stanza dei lupi - non più in senso sportivo -, da cui non pochi colleghi di Daniele già pensano di scappare. Di qualunque fidelizzazione, solidarietà, sintonia con il grande cuore spezzato del tifo romanista. Le cui voci più popolari ieri hanno fatto vibrare di amore e di rabbia i circuiti elettronici del nostro sito, durante il forum in redazione. Alla domanda «cosa può fare ancora la Roma per riparare», la risposta di tutti è stata unanime: «Niente». Invece una ragione deve esserci, oltre l’assurdo, oltre l’irragionevolezza e l’errore, oltre il dolore. Ma deve venire a spiegarla Pallotta, o uno dei suoi delegati. Con delega effettiva, non fittizia. Ci offriamo di ospitarli e di farci promotori di un confronto franco. Perché il Corriere dello Sport è la piazza della passione e del dialogo. Una piazza dove le bandiere da sempre si tengono in alto, e non si calpestano.


© RIPRODUZIONE RISERVATA