Di Francesco esclusivo: "Roma, tutte le mie verità"

«Mi dispiace di non aver trattenuto Strootman, ma la mia squadra ha raggiunto il massimo dell’era americana.»
Guido D'Ubaldo
5 min

In attesa di tornare in panchina si occupa dell’azienda di famiglia. Managing director dell’Hotel Dragonara, albergo e ristorante alle porte di Pescara, tirato su dal padre Arnaldo e che occupa tutta la famiglia. Eusebio Di Francesco rispetta le regole imposte dall’emergenza sanitaria. «Non posso correre, mi sono operato da poco al ginocchio. Mi alleno un po’ con i pesi, leggo, continuo a studiare l’inglese ed esco raramente. I capelli me li ha tagliati mio figlio». La vita di un allenatore è strana. Tredici mesi fa è stato esonerato dalla Roma, che neanche un anno prima portò in semifinale di Champions. Ha lanciato Zaniolo Ünder e Kluivert. Per la prima volta da allora ha accettato di parlare di quella esperienza. In questa intervista esclusiva Di Francesco dice tutto, chiarendo alcuni punti oscuri, smentendo tanter falsità. Sempre con il sorriso, senza risentimenti.

Come sta vivendo questo momento?

«E’ una situazione particolare per tutti. Mi sono adeguato, cerco di viverlo al meglio, rispettando le regole. Ho dovuto rinviare tante situazioni, anche la possibilità di tornare ad allenare che mi era stata prospettata, l’ultima a febbraio, all’estero. Ho la speranza che possa tornare tutto come prima, anzi meglio».

Ormai sono sei mesi senza calcio...

«Mi sono dedicato alla lettura, alla psicologia, ho studiato temi inerenti al mio lavoro. Ho fatto alcuni interventi con società di calcio giovanile in teleconferenza. Avevo in programma di andare a vedere partite andare e valutare giocatori, sia in Italia che all’estero. Ho seguito il calcio in generale, soprattutto quello legato alle mie idee. Ho seguito la Roma, la Samp, mio figlio Federico, così andavo a trovare anche il mio nipotino. Ma quando sono andato a vedere la Spal ha perso due volte e allora ho pensato che fosse meglio non farmi rivedere».

Dopo la partita contro il Porto a marzo dello scorso anno arrivò l’esonero

«Il calcio è così, legato a episodi: l’esonero è stato un insieme di situazioni al di là dei risultati. C’era un po’ di malcontento che ci ha portato a quell’epilogo. Era un momento particolare, avevamo perso il derby».

Male

«Sì, male, ma io su quattro derby ne ho vinti due e perso solo quello: è l’unico che si ricorda. A Oporto siamo stati sfortunati per l’arbitraggio. Meritavamo i quarti. L’anno prima arrivammo in semifinale. In Europa abbiamo fatto il massimo. Resta il dispiacere della sconfitta a Liverpool, in condizioni particolari. Poi all’Olimpico ci siamo fatti gol da soli subito, l’espulsione di El Shaarawy, il salvataggio sulla linea...».

La campagna acquisti quell’estate sfasciò una squadra che andava solo migliorata

«Sono state fatte delle scelte non corrette, a cominciare da quelle che rimpiango più di tutte, le partenze di Strootman e Nainggolan. Strootman è un giocatore straordinario, con la sua partenza abbiamo perso personalità e lo abbiamo pagato in continuità di risultati. Ho il rimpianto di non aver insistito a farlo restare, ho assecondato la sua decisione. I risultati altalenanti del secondo anno non ci furono nel primo, nonostante il caos con il mercato di gennaio, Dzeko in bilico, stava per andare al Chelsea. I giovani andavano aspettati, ho dovuto rivedere il sistema di gioco per adattarlo alle caratteristiche di certi giocatori. Ünder è dovuto maturare, Kluivert ha avuto bisogno di tempo. Poi Zaniolo. Tutti mi dicevano che era un ragazzo complicato, io non ho avuto nessun problema con lui, all’inizio alcune volte l’ho ripreso davanti alla squadra ed è diventato il gioiello del calcio italiano».

Pastore è stato un equivoco tattico

«Non voglio attribuire responsabilità a nessuno. Anche quest’anno si è visto che il problema principale è ? sico. Non abbiamo avuto un buon rapporto, ma non riesco ad avere rancore per certe sue dichiarazioni. Non è riuscito a rendere come ci si aspettava, ho visto che anche quest’anno aveva grande voglia ma non gioca da mesi. La qualità non è in discussione».

Si diceva che i giocatori alla fine non la seguissero più

«Hanno dato sempre il massimo, ci sono stati momenti in cui non sono stato bravo a entrare nella loro testa. Sono state dette tante cose sbagliate. Anche quando la società ha deciso di mandarmi via alcuni giocatori hanno fatto di tutto per far cambiare idea a Pallotta, che prese la decisione. Con il presidente mi sono sentito qualche giorno dopo l’esonero, le sue parole mi hanno fatto piacere».

Leggi l'intervista completa nell'edizione odierna del Corriere dello Sport - Stadio 


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