Roma via dalla Borsa: ecco il piano di Friedkin per rilanciare il club

L’Opa deve raggiungere il 95% ma il delisting potrebbe scattare a prescindere. Mossa fondamentale per un nuovo piano strategico
Roma via dalla Borsa: ecco il piano di Friedkin per rilanciare il club© ANSA
5 min

Tutto può dirsi, tranne che l’avventura della Roma sul listino di Piazza Affari sia una storia di successo. Collocato a maggio 2000, proprio nel pieno dei festeggiamenti dei cugini laziali per lo scudetto, il titolo aveva già perso il 78% del suo valore dopo un anno e mezzo, nonostante il tricolore fosse arrivato nel frattempo sulle maglie giallorosse.

Tra qualche giorno l’esperienza di quotazione potrebbe andare in archivio. Dopo aver acquistato da James Pallotta il pacchetto di maggioranza (86,6%), il gruppo Friedkin ha infatti dovuto lanciare l’offerta pubblica di acquisto (OPA) della quota flottante in mano ai piccoli investitori. Chi sceglierà di vendere le azioni al veicolo societario Romulus and Remus Investments, al prezzo dell’OPA di 0,1165 Euro, potrà dunque farlo entro venerdì. A questa operazione potrebbe seguire il delisting, cioè la sospensione defi nitiva della quotazione in borsa, con l’uscita del titolo dal listino.

In tal caso le azioni non sarebbero più scambiate sul mercato di piazza Affari e non riceverebbero la valorizzazione giornaliera derivante dagli scambi pubblici: il club cesserebbe di essere una public company restando SpA non quotata, con azioni negoziabili solo in transazioni private. In pratica, chi resterà con i titoli in mano dopo l’eventuale delisting non potrà più rivenderli attraverso gli intermediari bancari e finanziari, ma dovrà trovarsi nel caso un compratore privato con cui accordarsi sul prezzo. Non facile.

A Friedkin serve almeno il 95% delle azioni per chiederne di diritto il delisting, che potrebbe tuttavia aver luogo anche nel caso in cui si arrivasse sotto la fatidica soglia. Tra i requisiti fondamentali che ogni titolo deve possedere per giustificare la quotazione vi è infatti la presenza di una quantità sufficiente di flottante, cioè di titoli liberamente scambiabili, perché in mano al mercato e non immobilizzati nel pacchetto dell’azionista di controllo. Un flottante adeguato consente volumi di scambi giornalieri sufficienti a garantire trasparenza nella formazione dei prezzi e rende più difficile manipolare il mercato con manovre speculative. Se Borsa Italiana riterrà che tale requisito sarà venuto a mancare, potrà disporre ugualmente il delisting, anche ove la soglia non fosse stata raggiunta.

La scelta della società di uscire dal listino pare logica. Non si ravvisano motivazioni per sostenere l’opportunità di una quotazione in un momento della vita del club come l’attuale. La Roma ha bisogno di una profonda ristrutturazione: Friedkin acquista un club con abissale squilibrio tra costi e ricavi (decisamente aggravato dall’epidemia) e con il patrimonio netto da anni negativo (il passivo è superiore all’attivo). Questa sarebbe già una condizione di default, senza un azionista in grado di ripianare le perdite e sostenere gli investimenti necessari a garantire, anzitutto, la sopravvivenza del club.

In simili momenti pare illogico rivolgersi al mercato per condividere lo sforzo economico che andrà sostenuto certamente, perché il mercato tende a richiedere a fronte dell’investimento ritorni economici che nessuno può al momento prospettare, mentre un azionista di controllo può scegliere di attuare (e finanziare) piani strategici per portare il valore del club a remunerare nel tempo il capitale investito.

Un azionista che scelga di restare ancorato all’investimento dovrà perciò preventivare una serie di aumenti di capitale (di cui uno, già annunciato, da 210 milioni) che finirà per diluire il valore della sua quota, oppure dovrà prepararsi a ulteriori esborsi. Ciò spegnerebbe molte speranze di ritorno economico. Di contro, la quotazione oggi prospetta alla società diversi costi e comporta soprattutto vincoli, che possono condizionarne la necessaria riorganizzazione finanziaria e industriale. Vincoli di informativa obbligatoria al mercato, di trasparenza (che spesso finisce per regalare informazioni riservate ai concorrenti) e costi per mantenere strutture di controlli societari e relazioni con gli investitori. Si pensi che, solo per realizzare qualsiasi aumento di capitale, occorre convocare un’assemblea rispettando le tempistiche previste dal Codice Civile e pubblicandone gli avvisi a pagamento sui giornali, serve la redazione di un prospetto informativo che richiede di solito costi legali non irrilevanti. Tutto questo oggi non sembra più utile.

Leggi l'articolo completo sull'edizione odierna del Corriere dello Sport


© RIPRODUZIONE RISERVATA