De Rossi "Sogno di vincere con la Roma. Dzeko e Pellegrini capitani degni"

L'ex capitano: "Pochi trofei perché la Juve comprava i nostri campioni. Non c'entra l'ambiente giallorosso"
De Rossi "Sogno di vincere con la Roma. Dzeko e Pellegrini capitani degni"© ANSA
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ROMA - Daniele De Rossi studia per diventare allenatore. La pandemia lo ha fermato, lui avrebbe voluto cominciare prima i corsi per prendere il patentino, ma inevitabilmente prima il lockdown poi le varie restrizioni hanno rallentato il suo percorso di studi. A marzo sarà a Coverciano per continuare il periodo di apprendistato, nei giorni scorsi ha visitato il centro sportivo del Bologna per studiare dall'amico Mihajlovic. Questa mattina invece De Rossi è stato ospite dell'Università Luiss per il secondo appuntamento con il Corso di Team Manager. 

C'è un calcio prudente in Italia e più legato ai risultati?
"Lentamente stiamo cambiando registro. In Italia si sta iniziando a cercare il bel gioco. Ci sono molte squadre che provano a giocare a un calcio propositivo e offensivo. Il problema è il giudizio: in Italia vieni giudicato per il risultato, più che negli altri campionati europei. Un allenatore si spaventa di ricercare il bello e invece cerca una scorciatoia per arrivare subito al risultato. Secondo me chi gioca meglio ha più possibilità di vincere. Non succede sempre, ma alla lunga hai più possibilità di vincere. Non è facile ovviamente fare il calcio del Barcellona se non hai Iniesta e Xavi, l'allenatore deve cucire il giusto abito sulla rosa che ha a disposizione".

Sul ruolo del team manager.
"Tanti allenatori hanno il proprio personal team manager: Guardiola ha un amico storico e credo che anche Fonseca lo abbia. È una figura che ai miei tempi non esisteva, un ruolo che si è evoluto e aggiornato con il passare degli anni. Tempistilli faceva un altro ruolo rispetto a Gianluca Gombar, due team manager che ho avuto alla Roma". 

Sull'istruzione dei giocatori.
"Le squadre si stanno occupando di più delle scuole rispetto al passato. Io sono un giocatore riconosciuto che sa parlare e si sa comportare, ma ho la terza media. Prima non c'era quell'attenzione che forse prima vorrei avessero avuto per riuscire a conciliare calcio e scuola: prima le squadre non si interessavano del percorso scolastico dei giocatori. A volte i calciatori sono portati a una scelta. Il Boca Juniors ha la scuola vicino allo stadio, e tutti i ragazzi che giocano nelle giovanili devono anche frequentare la scuola. Adesso il calcio sta seguendo questo cammino". 

L'Italia è in ritardo sulla formazione dei giovani?
"Sì, siamo in ritardo. In Germania iniziano a formare i giovani fin da piccoli: li fanno giocare e studiare. Le scuole? Negli Stati Uniti non c'è un atleta che non passi dell'università. Sia per un percorso di crescita personale che sportivo. Questo essere costretti a passare dall'università ti porta poi verso una via d'uscita anche se non diventi uno sportivo". 

La pressione in Argentina?
"È peggio che a Roma. Il Boca è una lavatrice che fa la cetrifuga per 24 ore al giorno. È più devastante di Roma. Il giornalista del Boca parla del Boca e massacra il River. Il giornalista del River parla della sua squadra e si inventa qualcosa anche sul Boca ed è successo che inventassero anche su di me".

L'ambiente romano?
"Io sono stato uno di quelli che ha sempre visto nell'ambiente un problema, o qualcosa che toglieva che aggiungeva. Più andavo avanti negli anni però ho tolto peso a questa situazione. I giocatori e il club sono artefici del proprio destino. Alla fine non vincevi i campionati perché la Juve comprava i giocatori più forti e i tuoi giocatori più forti, perché l'Inter aveva il triplo del tuo monte ingaggi. La Roma era una squadra forte, arrivava seconda e poi la Juventus l'anno dopo ti comprava il giocatore più forte. E quindi facevi un altro passo indietro. L'ambiente romano è un fantasma che aleggia: ci sono i rompi scatole e quelli che si lamentano sempre, ma non scendono in campo". 

Su Ibrahimovic a Sanremo.
“Non è una cosa che può gestire l’allenatore, ma la società. Anche perché il giocatore si chiama Ibrahimovic: lui ha preso uno squadra e l'ha completamente rivoluzionata. Chi ci gioca insieme mi dice che si allena più di tutti, che è il più forte di tutti ed è un esempio. Se ha chiesto di partecipare a Sanremo in un momento delicato - ed è sicuramente una cosa fastidiosa per l'allenatore - penso debba intervenire la società. L'allenatore non può essere il parafulmine sempre e colui che si prende tutte le responsabilità altrimenti diventa un tiro al bersaglio. Credo ci sia stata un po' di manica larga, perché lui è uno che ha veramente stravolto l'immagine del Milan: da squadra che faceva fatica a stare tra le cinque-sei squadre del campionato a una squadra che fino a una settimana fa era prima in classifica. Credo gli sia stato dato un po' più di spazio per questo motivo, ma credo glielo abbia dato la società e non se lo sia preso da solo. Non voglio pensare a questo. L'allenatore deve accettare quello che succede". 

Sul caso Pellegrini-Immobile per una foto. Guarda che è successo… 
"Questo è figlio delle rivalità e del mondo social. Io non mi sento molto a mio agio sui social, ci sono entrato da tre mesi perché c’erano 15-20 pagine fake che parlavano a mio nome, ma stavo benissimo nel mio anonimato social e di vita. Non puoi incontrare sempre gente che accetti la tua libertà di frequentare chi vuoi, chi è aperto di mente, ecco perché dobbiamo cercare di esternare queste cose. Peruzzi è un club manager, parlo di lui perché è stato uno dei primi a fare questo ruolo ed è il migliore a farlo. Io sono amico di tanti giocatori della Lazio, abbiamo un amico in comune con Cataldi. Una volta eravamo agli Internazionali di tennis, gli ho parlato e l’ho messo a suo agio ed è un ragazzo meraviglioso. Ho fatto bei derby, ne ho vinti e persi, c’era questa grande foga che mi ha portato ad avere atteggiamenti sopra le righe, ma adesso a distanza di anni non penso ci sia un calciatore che pensi male di me a livello professionale e umano. Perché non mi piacciono i social? Perché se voglio fare gli auguri a un mio amico della Lazio lo chiamo al telefono e glieli faccio. Se fossi stato club manager, avrei detto a Lorenzo di chiamarlo e magari di non mettere la foto. Non perché è sbagliato, ma perché così nessuno si offende, visto che era passato qualche giorno dal derby perso. Ma non ha mancato di rispetto di nessuno. La prossima volta che perderemo un derby, magari ci penserà due volte a mettere la foto ma solo per togliersi qualche rottura di scatole".

Sul “no” alle Olimpiadi e allo stadio. 
"Avere uno stadio di proprietà per la Roma sarebbe stato importante, ma entriamo in discorsi che non conosco. Non so perché hanno detto di no, sono cose che non conosco e faccio fatica a giudicare. Ero affascinatissimo dalle Olimpiadi, chiesi di fare il fuoriquota perché sono un appassionato di sport. Tutti avrebbero avuto piacere a vedere le Olimpiadi dietro l’angolo. Ma non conosco i termini e perché abbiano detto di no e quali problemi avrebbe creato alla città. E sullo stadio idem. In un’altra città che è Torino, la Juve ci ha messo poco. Gli Agnelli sono influenti, magari hanno avuto qualche porta aperta in più, ma hanno avuto il loro stadio. Non faccio l’economista, ma abbiamo letto quanto aiuto lo stadio. Ho fatto due presentazioni dello stadio a Roma, con i Sensi e Pallotta. Hanno tirato via il velo, tutti ad applaudire, pensavo fosse fatta in entrambi i casi: poi siamo rimasti col plastico che sarà in qualche sgabuzzino. È un peccato, immagino ci siano state mille problematiche e rivalità, ma è un peccato per la Roma e la città. Sarebbe stata la miccia che avrebbe dato un cambio di marcia".

Su Gombar e l'errore dei sei cambi contro lo Spezia.
"C'è stata una cascata d'odio sui social. L'errore lo ha fatto. Credo ci sia stato un concorso di colpa, ma ha responsabilità. Lui non ha mai detto di non aver sbagliato. Quando l'ho chiamato si è preso le sue colpe "Ho sbagliato Daniè, ho sbagliato. Accetto se mi mandano via o se mi cambiano ruolo", mi ha detto. Ma se avessero mandato via tutti quelli che hanno sbagliato, dentro Trigoria ci sarebbe solo la statua della lupa all'ngresso. Soi è preso le sue responsabilità. La mia difesa nei suoi confronti non è stata capita, è difficile per molti analizzare un testo. Io ho salutato un ragazzo che veniva borbardato di insulti, non l'ho difeso". 

Pensi di essere pronto a una grande squadra o vuoi partire da una medio-piccola?
"Non lo so. Sono pronto per questo nuovo mondo, ho grande voglia. Ieri sono stato a Casteldebole a vedere il Bologna. Sto bene a casa, mi sono riappropriato della famiglia, però ho risentito il brivido vedendo la squadra che si allenava. Sono pronto per fare questo percorso. Devo prendere il patentino che inizierà l’8 marzo. Non so con cosa comincerò, la squadra molto grande non mi cercherà perché c’è un percorso per tutti quanti. Pirlo ha avuto un inizio sui generis, è difficile trovare un allenatore senza esperienza in una squadra come la Juve. Spero di partire dal posto più alto possibile perché hai i giocatori forti ed è più facile che capiscano, che risolvano loro le situazioni quando sbaglio cambi o formazioni. Gli errori li fai e si notano meno quando hai grandi giocatori. C’è stato abbastanza interesse nei miei confronti in questi ultimi tempi, ma ora non posso allenare".

Sulla panchina della Roma.
“L’ho sempre detto che mi piacerebbe, sarebbe un sogno vincere da allenatore della Roma. Cerco sempre di non parlare della Roma perché le mie parole hanno un peso diverso. Cerco sempre di non farlo, ad esempio ho annullato un’intervista dopo il 3-0 contro la Lazio. La cosa che mi ha dato sempre fastidio sono i giocatori della Roma che andavano via e parlavano male".

La componente social quanto incide e quanto conta la società nell’educare i giocatori?
"Capita che un giocatore non facendo niente di male e rivendicando un’amicizia come quella di Pellegrini e Immobile, si dà fastidio a qualcuno. Non c’è niente di male, ma per lavorare bene c’è assoluta serenità e un team manager può aiutare. Anche io faccio gli auguri a Immobile, i tifosi devono mettersi l’anima in pace: chi gioca in nazionale è amico. Io ho un fratello che è Pinzi, ha l’aquila tatuata. Ma noi dobbiamo essere furbi da evitarci quelle scocciature che possiamo evitarci. Non dobbiamo non voler bene una persona o non frequentarla, ma ci sono mille modi per non farsi beccare. Ho sempre salutato e abbracciato i giocatori della Lazio o della Juve, ma le cose uscivano solo quando perdevamo. Bisogna cercare di non sbattere queste cose in faccia a chi è talmente innamorato da essere offuscato, e la società deve aiutare".

Gli ex calciatori sono agevolati nel diventare allenatori o direttori sportivi?
"Pirlo ha preso la Juve prima di fare l’esame. Il regolamento dice che se sei iscritto al corso Uefa Pro, puoi chiedere una deroga e allenare. Lui è stato anche bloccato dal Covid, così come me o i miei compagni di corso. Però sì, abbiamo un vantaggio rispetto a chi non ha giocato ad alti livelli. Non solo come percorso di studi, ma anche perché un dirigente è più affascinato dall’ex calciatore piuttosto che a uno che è più bravo. Ma è una cosa naturale, poi ci sono le partite che o le vinci o le perdi. Questi percorsi hanno le gambe corte: posso avere vantaggi, ma se poi faccio male per tre anni, il quarto avrò difficoltà a trovare una panchina".

Il calciatore in cui ti rivedi di più? È stato giusto il modo in cui la Roma ha gestito la fine del tuo rapporto?
"Di giocatori ce ne sono diversi. Ma la Roma ora ha due capitani degni che sono Lorenzo Pellegrini e Edin Dzeko. Sarebbe sbagliato a Lorenzo di avere il mio carattere focoso o lo stesso a Edin. Ma saranno capitani a modo loro, sono rappresentato bene da loro. Il mio allontanamento dalla Roma è stato gestito in maniera normale. Ma una cosa mi è dispiaciuta ed è un articolo di giornale, che è stato scorrettissimo e ci sono possibilità che sia partito da dentro ed è una cosa che mi ha fatto male. Pallotta e Baldini sono stati presi a parole in tutto il mondo ma non ho rancore nei loro confronti. Avrei voluto fare qualche anno in più, non vedo un attacco al re o alla regina clamoroso nel non rinnovare un contratto a un giocatore di 36-37 anni. Tante cose si potevano fare in maniera diversa, ma è stata presa una decisione sportiva e l’ho accettata. L’aria non era buona nello spogliatoio perché erano e sono attaccati a me. Avevo sempre persone sotto casa, era un baccano che non mi faceva impazzire. Non continuare mi ha dispiaciuto, ma non l’ho mai vissuto come una tragedia. L’ho capito mesi prima che non l’avrebbero rinnovato, ma non è stata una bestemmia. La gente mi chiede come mai non abbia pianto: perché ero contento di quello che avevo fatto. Poi l’addio di Francesco è stato l’anticamera del mio addio. L’ho visto soffrire, volevo arrivarci pronto per star bene con me stesso. Una volta ero a fare le onde d’urto al ginocchio e questo dirigente mi disse: “C’è una Roma con De Rossi e una senza, devi stringere i denti”. Poi mi è stato raccontato che lo stesso dirigente ha detto: “Non ce la faceva più, camminava in campo”. Queste piccole dinamiche mi hanno dato fastidio, io non ho sputato veleno con nessuno. Più l’articolo di giornale… Mi hanno dato fastidio più queste cose".

Come si gestisce lo spogliatoio dopo una vittoria come quella del Barcellona?
"Io ero all’antidoping… Nei giorni successivi si cerca di fare il contrario di quando si prendono le batoste: cercavo di fare il giullare, di analizzare gli errori, di dare una pacca sulla spalla. Quando vinci invece fai il contrario: cerchi di trattare male quello che è già con la testa ad alzare la Champions… Quando vinci sei rilassato, devi fare il rompiscatole di turno. Anche perché pochi giorni dopo avremmo giocato partire per centrare la qualificazione in campionato. Io ero il primo che festeggiava, anche a 35 anni quando vincevamo partite importanti e i compagni andavano in discoteca io mi buttavo dentro. Bisogna saper godere di queste cose, il calcio è anche gioia. Si vive talmente male in questa città quando si perde che è bello ritagliarsi momenti di fanciullezza e incoscienza quando si vince".

Il cambio contro la Svezia e la protesta per il cambio. E perché non sei entrato per il rigore contro la Germania?
"Non ho detto che non sarei entrato, ho rispettato sempre le scelte e dopo poco mi sono andato a scaldare. Una volta con Spalletti sono entrato a venti secondi dalla fine contro l’Inter, rispetto le scelte. A Bordeaux avevo chiesto di battere il rigore a Massimo Carrera. Non ero in grado di giocare, correvo e calciavo ma ero zoppo. Sturaro giocò con un ginocchio rotto e giocò benissimo. Provammo i rigori, uno di quelli con la media più alta era Simone Zaza, che io stesso ho consigliato come rigorista. E lui ancora me lo dice che l’ho rovinato…"

Come si gestisce un campione? Un essere umano che ha la consapevolezza che quello che fa lo fa nel miglior modo possibile?
"Ho giocato con tanti campioni, da Totti a Pirlo, Buffon, Cannavaro e Nesta. I campioni veri sono i più facili da gestire. Quelli che hanno i grilli per la testa, che vogliono un trattamento particolare, non rendono come questi qui. Totti è stato un top assoluto per 25 anni ma non è mai stato un problema né diverso dagli altri. Buffon sono sicuro che non vada a chiedere trattamento di riguardo o l’ora in più libera. Arrivi a essere un campione perché sei di un’altra categoria e ce ne sono pochi nella storia del calcio unici come giocatori e unici come persone. Maradona ogni tanto si prendeva un’ora in più di permesso o non si presentava, però non ce n’è uno che non sottolinei quanto fosse semplice e normale, facile da gestire, altruista. Un campione così che si fa voler bene, gliela concedi più volentieri un’assenza o un chilo in più o un ritardo".

Ti rendi conto di essere immortale a Roma? 
"È una cosa grande. Mi ritrovo a parlare con mio figlio piccolo, non sa che gioco a pallone e si ricorda più cose del Boca. Cerchiamo di spiegargli perché la gente mi abbraccia per strada o perché mi fermano ogni due metri per una foto. Ne sono consapevole, riguardo l’immortalità vediamo quanto dura… Ma è dovuto alle scelte che abbiamo fatto io e Francesco, quanto abbiamo difeso i colori. C’è un amore nei confronti della Roma che non trovi da altre parti, che non puoi spiegare a chi è di altre parti, ti direbbero che è eccessivo: ma è quello che porta me, Pellegrini e Florenzi – finché ha potuto – a rifiutare proposte di squadre dove magari vincere. Amadei non ha ore di video, di Losi abbiamo una dichiarazione di quando giocò bendato, lo stesso Giannini, Di Bartolomei, Bruno Conti: tutti giocatori indimenticati e indimenticabili che avrebbero più risalto se avessero ore e ore di interviste, di immagini, video. Spero di essere in grado di essere allenatore, ma girerò tante squadre: non si può rimanere tanti anni in una squadra. Ma quello che sogno più di tutto è vincere qualcosa qui da allenatore, sarebbe la chiusura di un cerchio unico".


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