Sono state quelle "sensazioni umane" che ti hanno convinto che per te era l'opportunità giusta al momento giusto?
“Sono state le sensazioni umane, ma anche le idee, le informazioni, le domande e le risposte di entrambe le parti. Dopo il primo colloquio ho avuto la sensazione che questo non è il progetto dei Friedkin, non è il progetto di José Mourinho, non è il progetto di Tiago Pinto, questo è il progetto dell'AS Roma. È questo che ho pensato. Ed è qualcosa che mi ha colpito particolarmente. Perché, com'è noto, nella mia carriera ho avuto diverse esperienze e ho lavorato in club con situazioni simili a questa, con una proprietà straniera, mettiamola così. E sono stato colpito dal fatto che il signor Friedkin e suo figlio Ryan parlassero in continuazione dei tifosi della Roma. Non parlavano di loro, non parlavano del progetto, parlavano dei tifosi. In moltissime occasioni si ha la sensazione che i proprietari parlino dei club come dei loro club. E in un certo senso è così, se visto da una determinata prospettiva. Ma loro parlavano del club come il club dei romanisti. E che era per loro che volevano farlo. E questo è stato molto, molto importante per me. Perché, ovviamente, conosco la realtà dei fatti. Abbiamo terminato la scorsa stagione a 29 punti dalla prima e a 16 punti dal quarto posto. Ma un club non si giudica dall'ultima stagione. Un club si giudica da un punto di vista più ampio. E io so molto bene cosa sia l'AS Roma. Conosco la tifoseria, conosco la passione, e se pensi che il progetto sia: Domani arrivo e dopodomani vinciamo, beh, questo non è un progetto. Quello della Roma è un progetto con il quale la proprietà intende lasciare un'eredità per gli anni a venire. Intende fare qualcosa di importante per il club, lavorando a un progetto che sia sostenibile. Vuole creare le basi per il successo. Spero che questo successo possa arrivare mentre io sarò qui. Perché il contratto che ho firmato è un contratto triennale. Magari sarà solo il primo contratto, forse un giorno ne firmerò un secondo. Spero che i risultati del nostro lavoro si potranno vedere mentre io sarò qui. Voglio davvero che questo accada. Ma affrontiamo una cosa alla volta. Sono molto contento di fare parte di questo progetto. E, lo ribadisco, non è il progetto di qualcuno. È il progetto dell'AS Roma”.
ROMA - José Mourinho rilascia la sua prima intervista ufficiale da tecnico della Roma. Il portoghese, arrivato questo pomeriggio nella capitale, ha parlato ai microfoni del club giallorosso.
José Mourinho, benvenuto alla Roma innanzitutto!
“Grazie mille”.
Quanto sei entusiasta di questa nuova sfida?
“Sono entusiasta sin dal primo giorno. E sono sincero quando dico sin dal primo giorno. Quando il primo giorno ho incontrato la proprietà e Tiago Pinto, ho avuto subito delle sensazioni molto positive. E questo significa molto per me.
Il mio entusiasmo, ovviamente, si basa sulle conversazioni che abbiamo avuto, sulle idee che ci siamo scambiati, ma anche su qualcosa a cui io do molto valore: le sensazioni umane. L'empatia. Sin dal primo giorno ho avuto voglia che arrivasse il vero primo giorno, cioè il giorno in cui sarei arrivato a Roma”.
Sembra che questo intento di cooperare, il progetto a lungo termine per la squadra, sia qualcosa che ti stia dando una grande motivazione. È giusto affermarlo?
“Penso sia molto, molto importante che le idee siano molto chiare e che il progetto che abbiamo davanti sia altrettanto chiaro. E che sia chiaro quello che il club sia aspetta da me e quello che il club si aspetta che io possa dare. E questo è importantissimo. E le cose sono molto, molto chiare. Vogliamo creare una Roma vincente, ma vogliamo anche creare un futuro vincente.Non vogliamo che il successo sia un momento isolato. Un momento che, ovviamente, tutti si godrebbero. Ma vogliamo che le conseguenze... Non vogliamo che ci siano conseguenze negative. Vogliamo creare qualcosa che duri nel tempo. Vogliamo iniziare a organizzare al meglio il club in ogni area che abbia a che fare con la squadra. Chiaramente il club è molto di più che la sola squadra di calcio. È molto di più dei risultati ottenuti dalla squadra di calcio. Ma sappiamo che il barometro e la bussola si basano su questo. Quindi, vogliamo costruire qualcosa di importante. Ma sappiamo che dovremo farlo un passo alla volta. Bisogna iniziare dalle strutture che ruotano attorno alla squadra. Non solo le infrastrutture, ma anche le strutture umane. E, come dice la proprietà, questo è il modo per garantire al club un futuro di successo. Lo facciamo per il futuro, per il club e per i tifosi. E io sono pronto. Sono entusiasta. Voglio accelerare questo processo. È per questo che dico che spero che potremo vedere dei risultati prima della fine del mio contratto. Perché voglio accelerare questo processo. Non è nella mia natura lavorare e basta. Ovviamente sai che stai lavorando per il futuro, ma non è nella mia natura aspettare troppo tempo prima di raccogliere i frutti. Voglio provare ad accelerare il processo. E spero che tutti insieme potremo ottenere dei risultati il prima possibile”.
C'è grande fermento in Italia per il tuo ritorno. Sono passati più di dieci anni dall'ultima volta che hai allenato in Serie A. Pensi di essere cambiato come allenatore da quella volta?
“Sono migliorato molto. Dico sul serio, sono un allenatore migliore. Perché penso che questo stia un lavoro in cui l'esperienza conti molto. Con l'esperienza... sembra di vivere poi dei déja vu, perché si vivono moltissime esperienze. Dopo l'Italia sono andato al Real Madrid, che è stata un'esperienza incredibile, e ho realizzato il mio sogno di vincere in Italia, in Inghilterra e in Spagna. Poi sono tornato in Inghilterra, perché lì c'è la mia famiglia, ed è lì che volevo tornare. Ho addirittura vissuto l'esperienza estrema di portare una squadra in finale e poi di non giocare quella finale. Qualcosa che pensavo non sarebbe mai successo nella mia carriera. E invece è successo. Quindi, dopo aver vissuto così tante esperienze e aver imparato dai momenti positive e da quelli negativi, sono molto più preparato rispetto al passato. È un lavoro in cui puoi solo migliorare, fino a quando non perdi gli stimoli. Perché credo sia l'unico motivo per il quale un allenatore di calcio possa decidere di smettere o di smettere di imparare. Non è il mio caso, tutt'altro. Continuo a imparare cose nuove ogni giorno. Quindi, penso di essere migliorato. Ovviamente un conto è arrivare in un Paese per la prima volta, dove devi partire da zero e imparare moltissime cose. Ma non è il mio caso. Conosco l'Italia come Paese, conosco la cultura calcistica italiana, so qualche cosa anche della Roma, perché quando allenavo in Italia, la Roma era la mia principale antagonista. Era la squadra che lottava con noi per aggiudicarsi i trofei. Quindi, penso di essere in una posizione migliore ora rispetto a quando sono arrivato in Italia per la prima volta nel 2008”.