Ibañez esclusivo: "Italia, chiamami. Mourinho mi ha cambiato"

Intervista al difensore della Roma: "Con il tecnico portoghese noi alla pari delle grandi"
Ibañez esclusivo: "Italia, chiamami. Mourinho mi ha cambiato"
G. D'Ubaldo - R. Maida
3 min

I segni sul corpo sono memorie. Non è tutto bello ma merita di essere vissuto con il sorriso. Roger Ibañez è un brasiliano atipico, perché è nato nel Sud dove i suoni del carnevale di Rio non arrivano e perché la madre Valeria è uruguayana di Montevideo. Ma in termini di positività, allegria, leggerezza ricalca proprio gli stereotipi dell’atleta che interpreta la professione come un divertimento. I segni, dicevamo. Una cicatrice enorme sulla coscia destra: «Quando avevo 12 anni ero in ritardo per prendere il pullman della scuola. Sono scivolato da una scala di legno e sono finito su un chiodo. Per due centimetri quel chiodo non mi ha reciso l’arteria femorale». Senza un po’ di fortuna non si arriva lontano. E la Roma era scritta nel suo destino. Ecco l’altro segno: «Ho tanti tatuaggi. Uno è un lupo, qui sul braccio». Facile, l’avrà fatto a Trigoria: «No, in Brasile. Ho sempre amato i lupi, che trovano forza nel gruppo». Il branco, come recita lo slogan del club. E di questo gruppo che domenica prova a spaventare la Juventus, Ibañez va fiero: «Con Mourinho ti viene voglia di imparare ogni giorno. E’ un allenatore che ti cambia le prospettive. Lui dice, tu fai». Ma nella testa di questo ragazzo che a 23 anni è già padre c’è anche un sogno concreto: la nazionale. Brasiliana, possibilmente, ma se dovessero chiamare l’Uruguay e soprattutto l’Italia...

Il Brasile la voleva già all’Olimpiade. Mourinho ha preferito evitare.
«In realtà Mourinho sapeva quanto io ci tenessi: mi ha solo detto occhio, se non vieni in ritiro poi devi recuperare il terreno perduto. Io sarei andato, perché un’occasione del genere non capita spesso. Poi abbiamo vinto la medaglia d’oro. ... Ma la Roma ha deciso che era meglio di no e allora bene così».

Per la nazionale maggiore il tempo non manca.
«Ho tre passaporti. Io sono nato in Brasile, mi sento brasiliano e vorrei giocare nel Brasile. Ma vediamo. Ascolto chi mi chiamerà, il calcio è cambiato: tante squadre naturalizzano i giocatori».

Ne ha già parlato con i brasiliani azzurri?
«No, non ancora. Ma Toloi è mio amico. E’ stato un punto di riferimento importante per me quando sono arrivato a Bergamo. Vedremo cosa succederà, appunto».

Con Mourinho ha imparato a buttare la palla in tribuna, se serve.
«Mourinho mi ha insegnato tante cose. Il primo giorno mi chiamò insieme al suo collaboratore Joao (Sacramento, ndr) spiegandomi cosa gli piaceva e cosa non andava bene. Mi colpì perché già conosceva tutti i giocatori della Roma. Ma non credo di aver modifi cato il mo stile. Semplicemente, preferisco sentirmi più sicuro. Se posso gioco la palla, altrimenti non rischio».

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