Mourinho contro Mourinho

Nella capitale lo Special One ha portato tanto entusiasmo ma sta anche conoscendo i primi dissensi. La sfida di stasera, complicata dalle assenze, può determinare un’autentica svolta
Mourinho contro Mourinho© AS Roma via Getty Images
Ivan Zazzaroni
6 min

Ma io non sono un pirla ha compiuto tredici anni. Il 3 giugno del 2008 José Mourinho si presentò agli interisti e all’Italia con quella frase che diventò subito iconica. Un anno dopo, il 3 marzo, la collezione di battute special original si arricchì di altre perle estratte con cura; perle d’allenamento e senza tempo che ogni tanto ritrovano lustro finendo al collo di altri allenatori: «prostituzione intellettuale» e «zero titoli». O tituli. Attaccando la stampa, perché con qualcuno doveva comunque prendersela, Mou partì proprio dalle scorie di Inter-Roma 3 a 3. Disse: «A me non piace la prostituzione intellettuale mi piace l’onestà intellettuale. C’è stata grandissima manipolazione intellettuale. C’è stato un grandissimo lavoro organizzato per manipolare l’opinione pubblica. Un lavoro fantastico di un mondo che non è il mio: io lavoro nel calcio, ma il mio mondo non è questo. Negli ultimi due giorni non si è parlato della Roma che ha grandissimi giocatori, ma che finirà la stagione con zero titoli. Non si è parlato del Milan che ha undici punti meno di noi e chiuderà la stagione con zero titoli. Non si è parlato della Juve che ha conquistato tanti punti con errori arbitrali». Molti i titoli di giornale per quello «zero titoli».

Mourinho ha cambiato per sempre la storia dell’Inter. Con il triplete chiuse virtualmente l’epopea morattiana: come se, vinto tutto il possibile in una sola stagione, Massimo avesse finalmente pareggiato i conti col padre Angelo, perdippiù attraverso l’Herrera del Terzo Millennio.

Il trionfo di Madrid mutò il sentimento del presidente tifoso nei confronti della squadra: intervenne una forma di appagamento che - al di là del prezzo della conquista, che qualcuno definì scandaloso - ridusse le quote di entusiasmo e tolleranza. Tre anni più tardi, il 15 ottobre 2013, Moratti raggiunse infatti l’accordo con l’International Sports Capital, indirettamente posseduta da tre ricchi indonesiani, e un mese più tardi lasciò la presidenza a Thohir.

Del triplete è rimasta attiva la chat, oltre alla memoria: Javier Zanetti, uno degli irrinunciabili, forse il più amato dal portoghese per la costanza e lo spirito di sacrificio, ha rivelato che José è ancora tra i frequentatori più attivi e ricordato una volta di più un episodio del 2009: «Perdemmo con il Manchester United e uscimmo dalla Champions, nello spogliatoio eravamo tristi e arrabbiati. José volle parlare subito con Moratti, proprio lì, davanti a tutti. Gli disse: “Presidente, se compriamo quattro o cinque giocatori, la prossima stagione vinciamo la coppa”. Ci guardammo un po’ imbarazzati. Alla fi ne, ovviamente, ebbe ragione lui».

«Il fatto rilevante del triplete» conferma Marco Branca nell’intervista pubblicata in queste pagine «fu proprio aver vinto con sei titolari nuovi rispetto all’anno prima. Una cosa che esula dalle regole del calcio. Prima si era costruita la mentalità, poi vennero gli inserimenti giusti».

La partita della svolta in Champions è datata 16 marzo 2010. Il 24 febbraio, gara di andata, l’Inter ha vinto 2-1. Dopo giorni di riflessioni Mou decide di cambiare e rischiare. A Stamford Bridge presenta il 4-2-3-1 con Motta e Cambiasso in mezzo, Milito punta centrale e dietro di lui Pandev a destra, Sneijder trequarti e Eto’o a sinistra. Moratti è preoccupatissimo, la formazione non lo convince affatto, sente odor di uscita dalla coppa, di fallimento, di nuovo cambio tecnico: prevalgono l’ansia e il pessimismo del tifoso. Finisce 1-0, gol di Eto’o, e in quel momento la squadra capisce di poter arrivare al successo.

Altro passaggio mourinhano alla vigilia della finale di Madrid: Cordoba, che tre settimane prima si era infortunato, teme di essere spedito in tribuna nella partita della vita. Quando Mou si informa sulle sue condizioni, il colombiano lo rassicura: «Sto bene, ce la faccio». «Non preoccuparti, Ivan» è la risposta «puoi anche dirmi la verità, tanto di porterei in panchina anche se fossi zoppo».

Il Mourinho interista abitava a Como, i due figli studiavano a Lugano. Raramente scendeva a Milano: era Moratti a salire ad Appiano, di solito alla vigilia della gara. Una sola cena in città, con il team manager e amico Andrea Butti, oggi in Lega calcio. E una sola partecipazione televisiva rilevante, al “Chiambretti Night”, sempre nel 2009. Durante l’intervista Pierino tentò in tutte le maniere di provocarlo facendolo marcare da bellissime ragazze. E Mou, impassibile, perfettamente nel personaggio.

Stasera José affronta José: le parole gli sono rimaste dentro, il grande comunicatore ha scelto di non comunicare, di lasciar parlare e scrivere. È la maturità, non segnalata dalla chioma imbiancata, ma dall’impegno straordinario assunto con un mondo nuovo, impegno che pretende più lavoro intenso che battute ironiche. Quando avrà potuto cogliere risultati importanti anche a Roma - glielo auguro - escogiterà sortite dialettiche originali, in chiave non più milanese ma romana perché, oltre a essere un valido condottiero di uomini, è un prezioso narratore di storie. E quelle interiste, delle quali ho dato abbondanti stralci, han fatto il loro tempo. Non suscitano gelosie ma fastidio. È l’ora di Daje Mou.


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