Roma, magnifica Ossessione

Zaniolo 9 
Il miracolo italiano. Dal cilindro di Mourinho invece del coniglio esce una pantera imprendibile. Nico sfoga i suoi arretrati accanendosi sulla burrosa difesa norvegese, creando le premesse del primo gol e poi prendendosi la partita con la terna che certifica il trionfo: il terzo gol è una cosa da pazzi, da vedere e rivedere. Esce per un dolorino al polpaccio. Ma da ieri, dopo lo spegni e riaccendi, può avviare una nuova storia.© AS Roma via Getty Images
Ivan Zazzaroni
5 min

C’è solo la Roma in Europa. Solo lei ci resta. La sua sarà anche, lo è, la terza coppa per importanza: ma non possiamo più permetterci di fare gli schizzinosi, dal momento che siamo fuori dal Mondiale, dalla Champions, dall’Europa League e se non ci fosse questa benedetta Conference saremmo probabilmente anche fuori di testa.
La Roma se l’è meritata, una serata così: ha giocato la miglior partita della stagione, la meno “italiana”, dentro un Olimpico strepitoso, da tempi belli: in particolare nella prima parte ha prodotto un calcio brillante, organizzatissimo, applicato, efficace. Non ha lasciato respirare i norvegesi, imponendo loro tempi, modi e un esaltante Zaniolo, in palla come non mai, ecco un altro miracolo del metodo Mou: bastone bastone bastone e al momento giusto la carota della titolarità. L’“Ossessione” Zaniolo - definizione dello Special - ha dribblato addirittura la perfezione, facendo la linguaccia al recente passato e ai 18 mesi interrotti: ha messo in campo tutto quello che aveva dentro. E i compagni l’hanno seguito, cercato con palle lunghe e scavalcamenti, incoraggiandolo a strafare. C’è tanto Mou in questa impresa non ancora completata e in questa squadra. Anche, se non soprattutto, in rapporto al campionato. Riflettevo durante la partita col Bodo: soltanto due, massimo tre giocatori della Roma sarebbero titolari nelle quattro squadre che la precedono in campionato. Rui Patricio - si comincia sempre dal portiere - è certamente dietro Maignan, Ospina e Szczesny e se la batte con Handanovic; sugli esterni difensivi lascio a voi valutazioni e conclusioni, peraltro scontatissime (Zalewski ad ogni modo è commovente); il miglior centrale di Mourinho, Smalling, farebbe panchina con Inzaghi, Pioli, Spalletti (l’inglese se la giocherebbe con Rrahmani) e Allegri; il solo centrocampista in grado di guadagnarsi il posto fisso nelle quattro di testa è Pellegrini, se al meglio; infine Abraham e Zaniolo, questo Zaniolo - gli altri non posso considerarli - partirebbero dall’inizio nell’Inter e fors’anche nel Milan.
E quante di queste riserve, o seconde scelte, delle top four giocherebbero stabilmente in giallorosso? Di sicuro Kalulu, Rebic, D’Ambrosio, Darmian, Gosens, de Vrij, Correa, Vidal, Lozano, Mertens, Elmas, Zielinski (o Ruiz), McKennie, Bernardeschi, De Sciglio e naturalmente Dybala. Questo per dire che Mou sta ottenendo il massimo dal materiale di cui dispone e che, tanto per dire, i cinque punti che dividono oggi la Roma dalla Juve sono il prodotto della sfida di Torino: sappiamo tutti come andò. Ci sta riuscendo, lo Special, perché, dopo qualche evidentissimo calo di tensione, si è fatto seguire con decisione, coraggio e entusiasmo. Straordinaria, ma non è una novità, la sua capacità di coinvolgimento: la stessa tifoseria gli ha dato tutta la fiducia possibile riempiendo l’Olimpico e le curve dedicate in trasferta non soltanto per via dei prezzi strapopolari. Dove voglio arrivare, visto che siamo a un mese e mezzo dalla chiusura della stagione? Se c’è un momento in cui un grosso investimento tecnico può dare risultati immediati, è proprio questo: le big hanno difficoltà e limiti di spesa, le distanze non sono più incolmabili come un tempo, per cui i Friedkin dovrebbero riflettere su obiettivi, contesto e tempi. Non voglio rischiare di essere ripetitivo, ma i segnali che giungono da Torino, Milano e Napoli autorizzano più di un’apertura alle speranze della capitale. Il discorso va esteso anche alla Lazio, pur sapendo che Lotito ha una filosofia di gestione dalla quale difficilmente si smarca.
PS. L’ultima italiana a uscire dall’Europa è stata, ieri, l’Atalanta che non ha disimparato a giocare, ma fatica a trovare la via del gol, avendo recuperato Zapata soltanto la scorsa settimana: era fermo da dicembre. L’applauso finale dello stadio ha sublimato il rapporto osmotico tra la città e la squadra di un grande allenatore, Gasperini.

L’esigenza del Var sul posto nella fase finale del torneo

Per impegni contrattuali con i broadcaster (Dazn e Tim) la Lega non può autorizzare la contemporaneità delle partite degli ultimi turni, richiesta un paio di settimane fa dal nostro Dalla Palma e in seguito da Pioli e Sconcerti. È possibile e utile, invece, riportare il Var allo stadio nella fase conclusiva del torneo, così come accade in Champions: da questa stagione l’Uefa ha infatti adottato la soluzione mista nei sei turni dei gruppi: alcune partite da Nyon, altre sul posto anche per questioni di connettività poi, dagli ottavi, il knock out, tutti sul posto. È, questa, un’esigenza avvertita da alcuni allenatori, i quali ritengono che nel momento decisivo della stagione il videoassistente dovrebbe vivere a stretto contatto con la terna arbitrale respirando in pieno in clima della gara. Lissone è distante da tutto, talvolta anche dalla verità del campo.

 


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