Il gesto di Mourinho che ha fatto impazzire i tifosi della Roma

Lo Special One non è stato solo un condottiero: la vittoria di ieri è un vero capolavoro tecnico-tattico. Le lacrime a fine partita, quelle mani che non si fermano mai e indicano strade di gioco. E i cambi al momento giusto senza un briciolo di ideologia
Grazie per quello che ci hai dato . Ci hai protetti, difesi e capiti! Hai amato questi colori e sei stato un gran professionista. Te ne saremo eternamente grati. Te volemo bene. Buona fortuna Josè. Già me manchi!© AS Roma via Getty Images
Marco Evangelisti
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Lo sommergono perché non c’era altro modo di fermarlo. José Mourinho moto eterno, argento vivo e cervello fresco. Se lui è bollito, noi siamo la regina Elisabetta e Steven Spielberg. Contemporaneamente. Lo sommergono con gli abbracci al temine di una finale che è un passaggio per la terra dei sogni attraverso un incubo di maglie grigie e palloni da sfasciare. La vittoria come dev’essere: si costruisce e poi si protegge ciò che si è costruito. Per Mourinho questa è la via, non ce n’è un’altra.
Lui la prende in mano la partita, laddove per i suoi colleghi le mani sono un accessorio, talvolta un peso da sollevare, altre volte un orpello da nascondere nelle tasche. Mourinho non spreca nulla: non intendeva sprecare una Conference League, a parte l’egocentrico compiacimento di diventare il primo a vincere tutte e tre le coppe attuali, proiezioni in cinemascope di quelle di una volta. Perché dovrebbe sprecare una parte del corpo tanto preziosa, con cui si possono fare castelli, costruire autostrade e parlare con gli arbitri? Quello ha fatto Mourinho dall’inizio: parlare con gli arbitri attraverso le mani, che nella sua mimica diventano di volta in volta domande viventi, affermazioni trancianti, becchi di papere che starnazzano.
E ansiolitici per i giocatori troppo nervosi, ovvio. Basta indicare i punti del campo in cui piazzarsi, alzarle e abbassarle per invitare alla calma, indicarsi la fronte per spingere alla riflessione. Con Pellegrini no, a Pellegrini riserva il privilegio della voce e della chiamata diretta: stiamo vincendo, che bisogno hai di andare a rompere la pace dei sensi all’arbitro? Mourinho vuole essere dentro la gara con tutto sé stesso, e per questa finale in particolare è stato anche parte di parecchio di più, della vigilia, dell’antivigilia e oltre. Giorni passati in conclave con i suoi collaboratori e con i giocatori. Studi approfonditi delle possibilità, degli imprevisti e di ciò che del Feyenoord si sapeva.  
Caricare le molle della determinazione, evitando di esagerare. L’equilibrio sottile su cui si regge l’universo agonistico di Mourinho. Si spezza Mkhitaryan, ma c’è subito pronto e intero Sergio Oliveira. Almeno in questo caso non ci si può lamentare dell’alternativa, non troppo.
Poi che i giocatori e lui stesso abbiano la tensione a fine scala è anche normale.

Qui si fa la storia

Qui si fa la storia, l’ha detto José stesso e non se ne pente. La storia, basta un niente per girarla da una parte o dall’altra. Basta, per esempio, che non diano punizione e rosso contro Senesi quando si avvinghia ad Abraham. E lì Mourinho non parla, bensì urla con le mani, con la voce e con tutto ciò che ha addosso. Lo adorano anche per questo a Roma: perché conduce, dirige e rappresenta. Più che lo spirito di qualcosa che è, l’idea di qualcosa che potrebbe essere.
Però non è soltanto questo. Tutt’altro che figura ideale. È soprattutto un allenatore. E sa mettere da parte le convinzioni pregiudiziali, mentre le filosofie di gioco le ha sempe considerate per quel che valgono: materia da aula di convegno, non da campo di calcio. Capisce al volo che la Roma sta sparendo come acqua sulla ghiaia e la cambia. Senza scrupoli e senza testardaggini: via Zaniolo che gli aveva dato tanto, dentro Veretout che nel corso della stagione gli ha dato poco. E dentro anche Spinazzola, che a rigor di logica dovrebbe stare sotto una campana di vetro.
Lo adorano perché sembra impassibile. Lo adorano perché dopo la partita, alla fine di cinque sgocciolanti minuti di recupero, piange, balbetta, stenta a esprimersi. Lui che ha vinto tanto e ha vinto pure tanto di più grande, tipo quella Champions dell’Inter che fino a ieri era l’ultimo trofeo italiano. Lo adorano perché hanno capito che per la Roma questo deve essere solo l’inizio e se c’è qualcuno che può garantire in merito è lui. Lo si coglie anche dalle prime parole che riesce a tossire via. Banale ma vero. Però stiamo attenti a non capire male. Ciò che sarà sarà. Mourinho oggi piange anche perché ha vinto un’altra coppa e non c’è niente di meglio che riempirla di lacrime di gioia.


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