Zaniolo e la prigione di un cliché

Zaniolo e la prigione di un cliché© AS Roma via Getty Images
Giancarlo Dotto
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Dentro una festa in cui nessuno, ma proprio nessuno, per almeno due giorni si è posto il problema del limite, a farsi notare in quanto a esuberanza è stato ancora una volta lui, Nicolò Zaniolo. Decisivo in campo, irrefrenabile fuori, mattatore dentro e fuori. Fuori le righe? Ebbene sì, ma chi le vedeva più queste righe? Considerato il contesto, follia allo stato puro, ubriacatura di massa, i puritani che lo giudicano e lo bocciano hanno un problema serio con la parte più interessante della vita. Che è, forse (dico forse, ma solo per non dare il cattivo esempio), l’occasionale perdita del controllo di sé. Quando non fai male a nessuno. Quando il casino è generoso, quando l’incontinenza autorizza slanci e abbracci altrimenti vietati dal buonsenso.  

Il corto circuito emotivo è stato totale. Abbiamo visto di tutto. Uno degli allenatori più titolati della storia cedere di schianto davanti alle telecamere, in lacrime e singhiozzi, come una Rossella O’Hara qualsiasi, la sua spalla portoghese, Tiago, un ragazzo attento alla misura, scamiciato e straparlante, forse anche un po’ brillo, come un testaccino, una città intera o quasi fuori di zucca, quelli che piangevano e quelle che piangevano nel vedere gli altri piangere. Tutto molto estremo, tutto molto contagioso. Abbiamo visto il Colosseo attonito, assediato da un circo di eroi, gladiatori e popolo festante al seguito con pochi riscontri nei millenni.  

In tutto questo bordello, l’indice accusatorio cade puntuale su chi? Ma certo, lui. Nicolò. Esattamente come i cartellini gialli piovono su Mancini, le reprimenda, spesso sprezzanti, vanno sul ragazzone di Massa. Qualunque cliché può avere una causa che lo spiega e, in certi casi, lo giustifica. Il guaio serio, non solo a Romatown, è che i cliché crescono su stessi, diventano una specie di lemma che anticipa il pensiero, invece che seguirlo. Spesso, lo cancella. Zaniolo? Uno che non ha testa. Uno che non sa stare al mondo. Uno che butta il talento nel secchio dei suoi atti smodati. Il guaio ancora più serio? È quando la vittima del cliché si affeziona al suo cliché, prende senza volerlo e senza saperlo ad assomigliargli. Potenza delle cattive narrazioni: sono un ragazzaccio? Eccomi, ragazzaccio! Lo sguardo altrui fa danni irreparabili.  

Il punto è che Nicolò è tutt’altro che un ragazzaccio. Non si sa bene cosa sia, ci mancherebbe, a 22 anni tutto il diritto di non saperlo. Di sicuro, sappiamo che due anni micidiali lo hanno trasformato nella testa oltre che nel fisico. Dominato, da quando è tornato, dalla tentazione dell’eccesso. Quando gioca bene, quando gioca male, quando ha paura di farsi male, quando se ne frega di farsi male, quando si sente Dio e quando si sente nessuno. Nuovo simbolo della Roma, fuori dalla Roma, la speranza della Nazionale, la disperazione della Nazionale.  

Nicolò va protetto da sé, prima ancora che dalla gente, ma sarà bene che impari svelto una cosa: dovrà essere lui a farlo. Nessuno meglio di lui. Senza nessuna pretesa di volere il bene o il male di Nicolò, un paio di consigli: si discosti il prima possibile da questo bordo dove c’è solo il tutto o il niente. Si liberi lui per primo del suo cliché, imparando anche qui il prima possibile che ogni cliché è noioso ancora prima che odioso. Ultima cosa. Nicolò ami gli eccessi? Benissimo. Avrai una magnifica occasione per darti a tutti gli eccessi possibili, superato i 60 o i 70, quando sarai ancora un pezzo d’uomo. Potrai esagerare, infischiandotene più di quanto faccia adesso del prossimo. Tra mezzo secolo, chissà quanto potrai sguazzare nei piaceri del mondo reale e del metaverso. Nel frattempo, non sarai finito nel pozzo lugubre dei rimpianti. Avrai avuto modo di sciorinarli tutti i tuoi tappeti preziosi. Che sia Roma. O sia Roma.


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