José Mourinho 22, il figlio di e l’incubo per Inzaghi

José Mourinho 22, il figlio di e l’incubo per Inzaghi© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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«L’espulsione non è una novità, riflette il mio modo di essere e di stare e non voglio che cambi». E invece Mourinho è cambiato e non solo nel colore dei capelli o nelle rughe sul viso. È altro nei rapporti con i giocatori, i collaboratori, le situazioni. Non tutte. Oggi è più razionale. Soltanto in partita la razionalità può arrendersi all’istinto, a una passione totalizzante, e allora - sì - ritroviamo il Mourinho delle manette e delle battute perfide destinate a arbitri (tanti), giornalisti (un’infinità) e colleghi suoi (anche). 

L’esplosione di rabbia di domenica scorsa durante Roma-Atalanta e quel “filho da puta” ripetuto più volte a favore di telecamera hanno riacceso la discussione sui suoi atteggiamenti. Nel mondo arbitrale, che evidentemente non ha gradito, molti sono ancora convinti che il bersaglio fosse Chiffi. Mou ha però chiarito che ce l’aveva con Hateboer. Perché l’olandese aveva mimato il calcio al pallone in direzione della panchina romanista dopo aver ripreso l’azione nonostante il gioco fosse virtualmente fermo. Virtualmente, certo, poiché dall’arbitro non era partito alcun fischio, alcun segnale di interruzione. Il giudice sportivo ha creduto a Mourinho che ha pagato la sovreccitazione con una sola giornata di squalifica. La sconterà proprio a San Siro contro l’Inter. Un’Inter per la quale lui costituisce un ostacolo speciale, visto che Inzaghi viene da tre sconfitte nelle prime sette giornate. Sfida risolutiva per Simone? Chi può escluderlo? Sì, Mou è cambiato e c’entra eccome la Roma. Non è semplice spiegare cosa significhi per il popolo giallorosso. Potrei cavarmela così: soddisfa il bisogno di una guida credibile, affascinante e unica, talmente unica da riuscire a riempire l’Olimpico ancor prima di aver alzato un trofeo - non ricordo precedenti simili. «Stamattina mi sono svegliato e mi è stato riferito che celebravo i 22 anni da allenatore» ha raccontato durante il Gala Quines de Ouro, a Lisbona. «Sono passati velocemente, ma voglio continuare. Mi sento bene, mi sento forte, motivato, mi piace vincere, odio perdere, non è cambiato nulla. Sono pronto a continuare. Non per altri 22 anni, ché non c’è tempo, ma per qualche anno in più».

Un bene per la categoria. Mou ha dato alla figura dell’allenatore un’immagine più completa, ha inventato un genere, elevando la comunicazione a valore imprescindibile. Tanti hanno provato a imitarlo. Inutilmente. Le immagini che sui social descrivono il suo stato d’animo e che lasciano spazio a più interpretazioni, l’originalità del linguaggio, gli ammiccamenti, l’abilità nel “dopare” tutto a colpi di trovate spiazzanti e al tempo stesso coinvolgenti: Mou è tutto questo, abbinato al successo sportivo. Che può essere assoluto e relativo. «La scorsa stagione abbiamo fatto quello che nessuno si aspettava» ha aggiunto «quest’anno cercheremo di fare meglio». Decisamente mourinhano il rilievo finale, simile a quello dell’estate scorsa quando parlò di “mercato a reazione” dopo la partenza di Dzeko e l’infortunio di Spinazzola. «Non abbiamo lo stesso potenziale economico dei nostri rivali, abbiamo fatto un mercato da sette milioni di euro, ma abbiamo qualità, passione, tante persone a cui piace lavorare insieme, che è una cosa importante, e poi a fine stagione vedremo».  

Non è cambiato? Certi cambiamenti - vivendo intensamente - a volte non si registrano, sono la naturale conseguenza del tempo che passa, degli ambienti in cui si è accolti serenamente, senza scatenamenti sentimentali, culturali, personali. Questa - confido a Mourinho, in amicizia - è Mamma Roma, il più grande “volemose bene” del mondo. 


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