Roma e Zaniolo, lo strappo e la toppa

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Alessandro Barbano
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L’equilibrio fragilissimo che regge e regola alcuni sistemi umani non è ricomponibile. Se si rompe, scatena una serie di reazioni a catena, tutte logicamente coerenti le une alle altre, ma capaci di portare il sistema verso il baratro. L’epilogo del rapporto tra Zaniolo e la Roma non sfugge a questa legge. Ha ragione Mourinho, quando scarica un calciatore che un giorno sì, e l’altro pure, dice che se ne vuole andare. Un allenatore del suo prestigio non può piegarsi ai capricci di un talento sportivamente e caratterialmente immaturo. La sua decisione di non convocarlo alla vigilia della partitissima di Napoli è doverosa. Allo stesso modo la forzatura del fantasista alla società giallorossa, per una cessione al Milan, è un azzardo. Perché velleitario rispetto al potere contrattuale che Zaniolo ha oggi sul mercato nazionale. E perché cade in una congiuntura finanziaria della Roma che è un eufemismo definire emergenziale. La necessità di realizzare plusvalenze è per i Friedkin un imperativo categorico, di fronte al quale la trattativa migliore diventa quella che consente di ricavare subito tutto il ricavabile, rinunciando a scommettere su prestiti con obblighi di riscatto condizionati a risultati sportivi. Così sfuma il Milan e arriva il Bournemouth, un club con un piede nella Premier e un altro nella Championship, cioè l’equivalente della serie B italiana. Non è proprio la terra promessa per un ventitreenne ancora abituato a sentirsi raccontare come uno dei migliori prodotti del calcio italiano.

Come si vede, ciascuno nel suo spicchio di mondo rivendica scelte e posizioni che, analizzate individualmente, risultano coerenti con la propria strategia personale. Mourinho non può farsi umiliare da un giovane a cui ha già dato dimostrazione di fiducia, non sempre ricambiata. I Friedkin non possono rinunciare a fare cassa. Zaniolo non può buttarsi via così presto, anche se per un contratto appetibile. L’equilibrio del sistema è venuto meno. E non è possibile ricomporlo sacrificando una delle aspettative individuali a vantaggio delle altre. D’altra parte non è neanche possibile riavvolgere il nastro della storia all’indietro e tornare al punto in cui la crisi si apre. Cioè all’estate successiva alla conquista della Conference League, propiziata da un gol del ragazzo spezzino, nella quale la Roma rinuncia a costruire una strategia finanziaria puntando sulla fiducia, e inizia a perseguire una scommessa. Anziché rinnovare il contratto a un giocatore che è uscito da due infortuni e che sta ricostruendosi come atleta, lo mette all’asta del miglior offerente che ancora non c’è. Perché questa è la mossa che rompe il fragilissimo equilibrio e scatena tutto ciò che da quel giorno si è prodotto.

Alle volte i sistemi rotti si riparano. Non funzionano certamente come prima, ma, sia pure rattoppati, possono ancora servire a raggiungere i più modesti obiettivi che vengono disegnati, a patto di ripristinare le condizioni di una fiducia reciproca che oggi pare venuta meno. Il divorzio con Zaniolo è ormai insanabile. Ma altrettanto chiaro è che, alle condizioni attuali, il giocatore non ha un’alternativa gradita e compatibile con le esigenze finanziarie della società. Conviene a tutti firmare una tregua, capace di differire la cessione al termine del campionato, con un reciproco obbligo di correttezza e di lealtà. Zaniolo la smetta di sputare nel piatto in cui mangia, torni ad allenarsi con impegno, come peraltro è abituato a fare, e si metta a disposizione del tecnico e della società. Mourinho, da abile tattico e da pastore di anime qual è, gli offra un’altra chance, trovando nelle pieghe di una rosa non certamente completa lo spazio per consentire al fantasista di esprimersi. La Roma concordi con il suo agente un percorso ragionevole di valorizzazione e di cessione. Si può fare ancora qualcosa per evitare di sciupare, con una cattiva gestione, un patrimonio sportivo.


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