ROMA - Eppure è sembrato di scorgere l’alba e non il tramonto, mentre il Torino festeggiava un pareggio in casa e la Roma malediceva una vittoria sprecata. C’è stato un passo avanti nel rendimento, nella convinzione, nella determinazione in una squadra che si sta lentamente abituando a giocare un calcio diverso. L’atteggiamento disinvolto e sereno di Mourinho nel dopo-partita rappresenta una conferma in questo senso, a dispetto dei 5 punti in classifica nelle prime 5 giornate: «A gennaio non saremo ancora in una posizione così bassa» sostiene il boss che evidentemente, guardando e guardandosi dentro, ha intuito che la svolta è vicina. Il calendario sostiene le sue legittime ambizioni di rincorsa: Genoa fuori, Frosinone all’Olimpico, poi Cagliari in trasferta e Monza in casa. Nessuna partita è semplice, per carità. Ma nelle prossime giornate la Roma può e deve imprimere la svolta alla stagione, per poi presentarsi il 29 ottobre a San Siro con la credibilità di chi vuole contrastare l’Inter: niente è ancora compromesso.
Una solidità difensiva da ritrovare
Mourinho sta provando dall’inizio del ritiro a rendere la squadra più efficace in zona gol. Il problema è che per raccogliere i frutti dell’addestramento di una fase, quella offensiva, la Roma ha smarrito il punto di forza delle ultime due stagioni, cioè la solidità difensiva. Anche nell’analisi di queste carenze, con 8 gol subiti in 6 partite coppa inclusa, bisogna essere chiari: rispetto alla finale di Budapest sono andati via due titolari (Ibañez e Matic) e il leader del reparto, Smalling, praticamente deve ancora entrare in scena. Non è la stessa cosa affrontare le partite con un terzetto quasi improvvisato e un rinforzo, il mancino N’Dicka, che ha buone potenzialità ma ancora non si è integrato nei meccanismi collettivi.
Una serie di errori in sequenza
I grattacapi non mancano, insomma. Ma allo stadio Grande Torino la Roma aveva quasi completato la missione nonostante il centrocampo decapitato: fuori Renato Sanches più Aouar e Pellegrini che erano in panchina solo per fare numero. Mourinho avrebbe potuto effettuare un paio di cambi in più per rinfrescare la squadra - Bove e Karsdorp per esempio stavano bene - ma il Torino non avrebbe mai pareggiato se non si fossero incastrati tanti errori nella stessa azione: Paredes che perde palla per distrazione sul limite dell’area avversaria (!), Kristensen che commette un fallo evitabile e regala una punizione dalla trequarti, Llorente e Mancini che si scontrano sul cross di Ilic, N’Dicka che arriva in ritardo su Zapata. Forse ci sbagliamo ma questa combinazione esplosiva di errori individuali - già visti tra Salernitana, Verona e Milan - non potrà ripetersi in eterno: l’ottimismo di Mourinho parte proprio da questa certezza.