ROMA - Questa è una pausa da sfruttare, per convertire le perplessità striscianti in applausi liberatori. Due settimane di lavoro, nell’eremo di Trigoria e lontano dai giudizi popolari, per rigenerarsi psicologicamente e stipulare un patto con la verità. Matias Soulé è stato acquistato a peso di milioni perché aveva appiccicata sul piede sinistro l’etichetta del fenomeno, che ancora non è. Ma sarebbe assurdo pensare, credere, sentenziare anche il contrario: i primi due mesi di Roma sono stati faticosi, per tanti motivi, però non abbastanza da catalogarlo già come un innesto sbagliato.
Soulé alla ricerca di sé stesso
Ha perso momentaneamente la nazionale argentina, ha smarrito la leggerezza che gliel’aveva fatta meritare a settembre sull’abbrivio del bel campionato giocato con il Frosinone. Eppure il futuro è dalla sua parte. Non si volteggia con quella destrezza efficace, come gli succedeva fino alla scorsa primavera, per caso. Se si è in grado di produrre un calcio danzante, allegro, pericoloso, la natura e il talento non se ne dimenticano. Basta aspettare il tempo di maturazione e di adattamento al quale il fratello maggiore Dybala, rimasto pure lui a Trigoria per infortunio, può contribuire offrendo i giusti consigli. «Non possiamo chiedergli di essere come Paulo, è giovane e ha poca esperienza di Serie A» ha spiegato il nuovo allenatore, Ivan Juric, che si sta sforzando di comprenderne le fragilità per ridurne l’impatto sulle partite.
Soulé, non è un problema tattico
Molti pensano che le difficoltà dipendano dal cambio di modulo. In verità la questione tattica, per un attaccante che ama partire da destra ed entrare dentro al campo, non sembra un tema dominante. Anche nel 4-3-3, con Di Francesco prima e nelle due giornate iniziali di De Rossi poi, Soulé aveva compiti simili. Non è mai stato un’ala destra che va sul fondo per crossare, anche perché il piede buono è l’altro. Piuttosto, il problema sembra racchiuso nella testa di un ragazzo di 21 anni che lentamente sta assimilando il concetto di responsabilità. Da adolescente, nella Juventus, era la fantasia improvvisa, la trasgressione del gioco. A Frosinone aveva sorpreso per la velocità di incidenza sui destini della squadra. Nella Roma, la grande vetrina in cui si sarebbe dovuto esibire senza snaturarsi, ha pagato il salto delle aspettative. Non è colpa sua - semmai il contrario - se i Friedkin hanno stanziato una trentina di milioni per averlo in casa. La sua forza ora dev’essere staccarsi la famosa etichetta di dosso e giocare come è stato abituato a fare sin da bambino.
Soulé insegue un posto da titolare
Qualche segnale, dopo la pessima serata in Svezia, si è avvertito a Monza. Una sua iniziativa ha scavato un comodo sentiero verso la porta per Dovbyk, che però ha poi sbagliato il tiro. Fosse stato gol, parleremmo di un assist di Soulé e magari di una serenità ritrovata. Invece la sua partita è finita con la solita sostituzione. Dalla ripresa delle attività, la strada si annuncia complicata: in otto giorni tra Inter, Dinamo Kiev e Fiorentina la Roma si gioca tantissimo. Lo stesso vale per Mati, che finora è stato schierato titolare sei volte su nove. Probabilmente dovrà lottare per risalire le gerarchie di Juric ma con un po' di pazienza dimostrerà il suo valore: le partenze lente sono capitate anche a giocatori più titolati di lui.