Roma, errori e scelte da incubo: le tappe di una crisi che parte da lontano

Gli esoneri di Mourinho e De Rossi prima di quello di Juric, il mercato flop, l'assenza di dirigenti e dei Friedkin: come si è arrivati al tilt
Jacopo Aliprandi
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ROMA - In dieci mesi la Roma ha collezionato tre esoneri e quattro allenatori. In tre mesi la squadra ha prodotto tre vittorie in campionato, un dodicesimo posto in classifica e un ambiente incandescente. Se Friedkin producesse anche film horror, questa sarebbe la sceneggiatura perfetta. La Roma è in tilt ed è arrivata a questa ultima sosta del 2024 come peggio non poteva. Ma più in generale da gennaio in poi ha vissuto un autentico inferno sgretolando, ricostruendo male e rattoppando ancora peggio i problemi di una gestione affannosa e poco chiara. Parte tutto dall’esonero di Mourinho e l’arrivo in fretta e furia di De Rossi per mettere un’altra toppa, quella con l’ambiente che non ha digerito la situazione ma l’ha sopportata per non buttare all’aria una stagione che ha visto comunque la squadra qualificarsi di nuovo in Europa League e raggiungere la semifinale della stessa competizione. I primi scricchiolii di un amaro epilogo. Quello legato a tutto ciò che è accaduto poi dall’inizio dell’estate fino ad ora.

Roma, mercato flop

Di certo tra i grandi errori di questa stagione c’è la gestione totalmente in confusione del mercato. Fatto da Souloukou, Ghisolfi e qualche agente che si è inserito nelle dinamiche interne del Fulvio Bernardini. Lo avrebbe voluto fare anche De Rossi che si era limitato a chiedere un centrale difensivo e un centrocampista di qualità: elementi arrivati solo una settimana prima del suo esonero. Oltre centoventi milioni di euro spesi in estate per poi rivedere Zeki Celik titolare sulla fascia destra. Basterebbe questo per giudicare l’operato dei protagonisti del mercato giallorosso. Centoventi milioni spesi per vedere poi la sovrabbondanza a centrocampo - l’acquisto di Le Fée al momento sembra uno sfizio che un altro club poteva permettersi, non la Roma che doveva invece coprire diversi buchi nei vari reparti -, ma non un vice centravanti (con tutto il rispetto per Shomurodov) o un terzino sinistro (Dahl ha esordito domenica, alla dodicesima giornata, e numericamente ha sostituito Spinazzola). Ma soprattutto un’estate di ritardi, decisioni e indecisioni che hanno spinto De Rossi a cambiare modulo a settembre, dopo tre partite di campionato e l’arrivo in fretta e furia di due difensori centrali svincolati.

Dirigenti assenti a Trigoria

A metterci la faccia - ma solo in queste ultime settimane - è stato Ghisolfi, l’unico dirigente di campo che si è esposto in francese ammettendo l’errore nell’esonero di DDR dopo quattro partite (e un triennale firmato due mesi prima) e l’indecisione sul nome del prossimo allenatore. L’ex Ceo Souloukou è stata dimissionata dai Friedkin dopo un periodo di gestione senza controllo che ha scatenato la furia dell’ambiente e dei giocatori sull’addio di De Rossi e la scelta di Juric. La squadra di certo non ha dato il massimo, specialmente con il croato, tra liti, assenze e malcontenti. Da due mesi manca un amministratore delegato, da anni un direttore generale e un direttore tecnico, una figura che possa affiancare l’allenatore nei momenti difficili. La prima denuncia partì da Mourinho, poi è arrivata quella di De Rossi, Juric invece non ha fatto neanche in tempo a rendersene conto. I Friedkin non si vedono più a Roma, non hanno mai parlato e probabilmente mai lo faranno. Al Fulvio Bernardini si vive alla giornata, in base alle chiamate del proprietario che adesso sta scegliendo l’allenatore con le solite agenzie di consulenza. È il caos per chi da fuori cerca di capire la Roma di adesso, ma anche per chi da dentro cerca di capire qualcosa su una gestione che promette trofei ma senza spiegare come vincerli.


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