ROMA - Il ritorno di Claudio Ranieri nella capitale non è l’unica mossa dei Friedkin per "aggiustare" la Roma, rimetterla in carreggiata già in questa stagione e programmare su basi solide il futuro del club. Ranieri è arrivato per risolvere il problema tecnico urgente in panchina, ma non dovrà solo fare il pompiere: il suo ritorno avrà implicazioni sull’organigramma societario, perché Ranieri non è solo l’allenatore-tifoso ma un dirigente in pectore. Conosce il calcio internazionale come pochi, ha allenato in tanti campionati europei, ha vinto la Premier. Il suo profilo unisce la conoscenza tecnica necessaria al ruolo con un romanismo di cui, da qualche tempo, i tifosi lamentano la scomparsa. Vi aveva sopperito la personalità strabordante di Mourinho, ma la mancanza di punti di riferimento al senso di appartenenza dei tifosi, culminata con l’uscita di De Rossi, si è fatta sentire. Le mosse che l’azionista prepara sono però, soprattutto, di natura economica, cioè la volontà di intervenire sul mercato di gennaio, apportare quei rinforzi che possano dare a Ranieri la possibilità di rilanciare il club. In effetti, c’è un senso di incompiuto nel progetto Friedkin, nonostante la Conference vinta e l’Europa League sfiorata e nonostante l’avere riportato l’entusiasmo dei tifosi all’Olimpico, una striscia impressionante di sold-out.
Manca la Champions
È mancato il salto in Champions. Sempre sfiorato, il santo graal del calcio europeo è obiettivo imprescindibile per un progetto tecnico vincente, perché le decine di milioni che la partecipazione al torneo garantisce fanno la differenza. E il problema della Roma, negli ultimi anni, è stato soprattutto un gap di ricavi rispetto alle principali concorrenti. Nel calcio attuale, orientato alla sostenibilità anche da un sistema regolamentare sempre più rigido, non basta avere un azionista facoltoso: i club devono sostenersi con risorse che siano in grado di generare. Ma per farlo serve la capacità di intercettare i ricavi pesanti. Il paradosso è che la Roma, quinta nel ranking Uefa (il miglior piazzamento tra i club italiani) dietro soltanto a club mostruosi come City, Real, Bayern e Liverpool, è fuori dalla Champions ormai da cinque anni. Una distorsione clamorosa, che l’azionista americano ha intenzione di correggere con ulteriori impegni economici già a gennaio. Benché sia legittima la frustrazione dei tifosi, c’è davvero poco da contestare sull’impegno economico di Friedkin. Dal suo arrivo nella capitale, il magnate americano ha investito quasi un miliardo, di cui solo 199 milioni per acquistare il club. Il resto è servito a finanziare perdite di gestione (mezzo miliardo nel triennio ‘21-23) dovute alla differenza strutturale tra ricavi e costi. Cioè, tra gli introiti che il club riesce a generare e l’impegno necessario per mantenerlo a livelli di competitività. Che poi vi si riesca è un altro discorso, dipende dalla nota aleatorietà dei risultati sportivi e certamente anche dalle scelte di gestione, rispetto alle quali la proprietà statunitense ha pagato un prezzo all’inesperienza. Ma sull’impegno economico, nulla da dire.
La necessità dell'equilibrio di gestione
Difficile sarebbe stato, in questi anni, trovare qualcuno capace di impiegare un volume di risorse superiore a quello investito da Elliott, Oaktree, RedBird, Mediacom e perfino Exor. La Roma dovrà conciliare la volontà dell’azionista di proseguire nell’impiego di capitali con la necessità di rispettare il settlement agreement, che scade a giugno 2025. Potrà acquistare mantenendo un equilibrio gestionale, tra entrate e uscite, nel monte stipendi perché lo squad cost (il rapporto tra costi della rosa e ricavi) resta la bussola ma i progetti dell’azionista restano ambiziosi. Del resto, i capitali non mancano all’imprenditore americano, il cui patrimonio personale è stimato da Forbes in quasi 8 miliardi di dollari. Ha interessi diversificati: al business automobilistico in diversi stati americani, ha aggiunto investimenti nel settore turistico e nell’intrattenimento. Ha una casa di produzione cinematografica con cui ha vinto due palme d’oro a Cannes, cosa non da poco. Sta cercando di portare nel calcio una capacità imprenditoriali che ha indubbiamente dimostrato in altri ambiti. Il pallone ha logiche peculiari, ma a Friedkin non mancano le capacità relazionali che lo hanno portato anche nel board ECA, grazie a rapporti ottimi con Al-Khelaifi. Sta completando l’acquisizione dell’Everton, ma come Gruppo, non personalmente, a dimostrazione dell’interesse forte per il calcio e la Roma.