Dybala e Pellegrini: come stanno e cosa devono fare ora per la Roma

Prima della sfida di Europa League sul campo del Tottenham, il tecnico Ranieri lavora per risolvere due casi: tutti i dettagli
Roberto Maida
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ROMA - I sei minuti giocati da Dybala, i tredici palloni toccati da Pellegrini. Queste stranezze tecniche, espresse dalla grigia esibizione di Napoli, sono la sintesi dell’emergenza strutturale in cui sta annaspando la Roma, sempre più lontana dai salotti ambiziosi e invece pericolosamente vicina alle poltrone sgangherate dei bassifondi. I due giocatori di maggiore qualità, di una rosa costruita nell’improvvisazione, si stanno adattando a un ruolo marginale nel momento di maggiore difficoltà. Ma non possono autoinfliggersi la pena della trasparenza, quando i compagni hanno bisogno del loro estro per tirarsi fuori dai guai. Entrambi - ormai è incontestabile - si sono infilati in un vortice di negatività: uno, Dybala, è condizionato dalla paura di infortunarsi; l’altro, Pellegrini, è stritolato dall’ansia da prestazione. Solo loro, principalmente loro, possono tuttavia aiutare Claudio Ranieri a ripristinare la normalità. La Roma non è una squadra da Champions League, nonostante le fanfare che suonavano alla fine di un mercato molto impegnativo sotto il profilo economico, ma neanche è così fragile da rischiare la Serie B, come i numeri attuali porterebbero a pensare: soltanto nel campionato 1950/51, quello concluso appunto con la retrocessione, la partenza era stata peggiore nelle prime 13 giornate.

Roma, Dybala ha perso il sorriso

Dybala è soprannominato La Joya. Ma in questo momento chiamarlo così sembra beffardo. Paulo non sorride più. Il suo 2024 è stato molto deficitario, anche prima della soap opera araba che ne ha minato l’entusiasmo: salutato a malincuore papà Mourinho, con il quale aveva stabilito un feeling indistruttibile, ha segnato 8 gol tra fine gennaio e inizio marzo, poi altri 4 in tutto. E appena 2 in questa stagione, entrambi durante la gestione Juric. È curioso che a Napoli, nello stadio intitolato al più illustre degli argentini, si sia alzato dalla panchina al minuto 88, senza praticamente essersi scaldato. Ranieri ha spiegato di aver accettato un rischio, sperando che una giocata risolutiva potesse salvare la trasferta nel recupero senza provocare infortuni. Ma un’interpretazione più profonda lascia immaginare un gesto dimostrativo: se Dybala non si mette a disposizione in fretta, io lo tratto come un giocatore da utilizzare come carta della disperazione. Come uno in più, che c’è e non c’è. I tifosi naturalmente si augurano che le cose cambino, già dalla partita di giovedì contro il Tottenham: la Roma non vince in trasferta da aprile e per cancellare l’astinenza ha bisogno di Dybala. Della clausola sul rinnovo automatico, che Ranieri ha assicurato di non considerare, è meglio parlare in un periodo più calmo.

Pellegrini, capitano invisibile anche a Napoli 

Diverso, ma non meno delicato, è il caso di Pellegrini. Capitano invisibile anche a Napoli e di conseguenza, a proposito di messaggi dimostrativi, sostituito nell’intervallo. La sua crisi, a parte alcune settimane di fulgore dopo l’arrivo di De Rossi, è pluristagionale. Cronica, viene da aggiungere. Qui nemmeno le parole di sostegno di Ranieri sono sembrate rassicuranti: «Lorenzo va aiutato, perché è un patrimonio anche della Nazionale». Intanto Spalletti lo ha scaricato dopo l’espulsione di ottobre. Come potrà aiutarlo la Roma? La testa è di per sé un territorio inesplorabile. Nel caso di specie poi, sempre per ammissione di Ranieri, parliamo di un «romano introverso che soffre dentro». Ma non basta un blocco mentale per giustificare tre mesi di partite mediamente insufficienti, senza alcun gol. Pellegrini adesso rischia il posto da titolare. Lo aveva perso con Mourinho, che gli preferiva Bove, lo stava perdendo con De Rossi - nell’ultima partita prima del ribaltone, a Genova, era andato in panchina e una volta entrato ha fatto capire perché -, era uscito dalla formazione anche con Juric. Nessuno può più aspettare nessuno.


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