Dybala, una notte di festa: ha vinto anche Totti

L’intervento dello storico capitano e l’alleanza con Mou hanno convinto l’argentino: un gesto d’amore per club e città
Dybala, una notte di festa: ha vinto anche Totti
Marco Evangelisti
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A questo punto possiamo venire a patti con l’idea che non ce ne libereremo mai. E forse è meglio così. Francesco Totti è stato un compagno di viaggio inossidabile, paziente, operoso e, di quando in quando, importuno. Pensavamo. Poi quando si è fatto da parte - o lo hanno messo da parte, su questo ogni persona in causa conserva la propria opinione - se n’è avvertita la mancanza. Senza necessariamente essere romanisti: abbiamo visto gente insospettabile di simpatie tifose sbirciare i filmati dei suoi giochi di prestigio e lasciar cadere la mandibola.

Lo possiamo esiliare nel passato: lui tornerà. Basta che passi in televisione un documentario ben fatto, che lui stesso abbia un rivolgimento di fortuna o di vita privata. Le ultime notizie, o pettegolezzi, lo vogliono in convivenza con la nuova compagna Noemi Bocchi, in seguito alla separazione da Ilary Blasi. Lecito storcere la bocca quando veniamo a saperlo, e stigmatizzare l’indiscrezione informativa che indugia sulle vicende personali di un ex calciatore. Ma intanto lo sappiamo. Per amore o per forza ce lo raccontano e noi per distrazione o per buona creanza stiamo ad ascoltare.

È una corrispondenza biunivoca. D’amorosi sensi. Neppure Totti riesce a fare a meno della sua Roma. Ci ha provato, ha ostentato orgoglioso distacco, si è rivestito di impenetrabile amor proprio. E intanto origliava, guardava di sottecchi. Casomai qualcuno avesse bisogno di lui o comunque ne chiedesse l’aiuto. Ed è successo. Non hanno neppure avuto bisogno di parlarsi, Totti e José Mourinho, per stabilire un’alleanza morbida, sottile. Comprensibile: Francesco ha dato alla Roma la sua intera vita agonistica, la Roma lo ha ricompensato modellandone l’esistenza in qualcosa di unico e difficilmente ripetibile. C’è una simbiosi che si evolve in forme nuove tra la squadra di sempre e il Totti di sempre, collegati come sono attraverso la sostanza stessa della città che ha messo al mondo entrambi.

Quando Totti ha scoperto che Mourinho assediava la società e Paulo Dybala non era soltanto una fata morgana da calciomercato, non si è messo di lato ad aspettare gli eventi. Ne è diventato protagonista. Senza che nessuno lo chiamasse in soccorso. Si è offerto volontario, anzi, è entrato in azione senza gridare banzai. Parlo io con Dybala, ha promesso, lasciando balenare l’esistenza di una rete di comunicazione tra campioni, alimentata dal linguaggio comune, dalla conoscenza del mestiere, dalla condivisione dei dubbi, delle esigenze, delle aspettative.

E lo ha fatto, come ha confermato lo stesso Dybala. Non solo. Totti ha giocato la sua partita con la raffinatezza dello scacchista, fintando, affondando la mossa, ritirandosi, chiamando l’avversario a un attacco imprudente. Muovendosi agilmente tra gli umori della città e del club, che conosce bene, e di Mourinho e di Dybala, che sa intuire. All’inizio di luglio aveva annunciato la chiusura della partita: la Roma avrebbe potuto prendere Dybala, ma qualcosa è andato storto, lui non verrà più. Pentendosi, o fingendo di pentirsi, di aver detto “verrà”, come se con la Roma condividesse uno spazio.

Ieri sera ha vinto anche lui. Non è questione di sapere se la Roma sarebbe riuscita a convincere Dybala pure in assenza della raffinata tela tessuta da Totti. Quando si gioca in una squadra, il merito è collettivo. Qui sta il fulcro della questione. Totti si sente sempre parte di quella squadra. Totti è come Han Solo che va per la sua rotta e poi torna a velocità iperluce per l’assalto alla Morte Nera. Come il cane Buck che non resiste al richiamo selvaggio del branco. O, più gentilmente, è solo un uomo che torna a casa, dopo tanto tempo, sapendo che prima o poi lo faranno entrare. E tutti si abbracceranno. Nel frattempo, guarda. Sorveglia. Interviene. Per amore, solo per amore.


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