Lasciate che la Joya si scateni

Leggi il commento sull'esultanza di Dybala in Roma-Juve
Lasciate che la Joya si scateni© LAPRESSE
Marco Evangelisti
4 min

Dai, che lo hanno fatto in tanti. Segnare contro le squadre del cuore e fingere di rodersi il fegato: non avrei voluto ma è lo sport, amici, ed è il mio mestiere, scusate se esisto ancora. Paulo Dybala avanza l’attenuante di non aver segnato, pure se ci ha provato e Szczesny si è dovuto alzare da terra per impedirglielo. Dybala ha solo esultato a fine partita per la vittoria della Roma, squadra per la quale attualmente gioca come tiene a sottolineare. È balzato in braccio a Wijnaldum, lì per lì, e in seguito ha scritto due sobrie righe sui social. Poteva dare di più, durante la partita e anche dopo, e sarebbe rimasto comunque innocente, vergin di codardo oltraggio. 

Lo hanno fatto in tanti, piccoli, grandi e medi, a fingere di essere altrove, a dileguarsi dopo aver colpito o addiritura ad alzare le mani in segno di autocommiserazione: persino Ronaldo, Lampard, Salah per restare ai principali, e forse cominciò Batistuta nel 2000 quando con una singola pallonata staccò il sorriso dalle facce dei ragazzi della Fiorentina, rete fondamentale per il successivo scudetto della Roma; e accolse gli abbracci appassionati dei compagni con le lacrime agli occhi. Altri di sicuro custodiscono nella memoria immagini più distanti, non troppo perché una volta simili delicatezze non si usavano ed eravamo tutti un po’ più sporchi e un po’ più spietati, senza vergognarcene. 
Invece domenica Dybala si è preso a tarda sera la libertà di esultare, il naturale diritto alla gioia, e per questo è stato digitalmente bastonato e virtualmente crocifisso. Supponiamo da sostenitori della Juventus dei quali era compensibile l’amarezza per i tre pali colpiti e la rimonta interrotta. Ma Dybala non solo è innocente: la sua posizione è socratica. Invece della condanna meriterebbe una ricompensa vitalizia per meriti acquisiti nei confronti della repubblica bianconera.

Dybala, alte tensioni con la Juve

È chiaro che si scaricano sulle manifestazioni di soddisfazione dell’Olimpico le alte tensioni per vicende diverse. Il fatto che l’argentino abbia francamente raccontato agli inquirenti faccende riguardanti gli accordi tra la Juve e i calciatori e le richieste di saldo di eventuali arretrati risalenti alla lunga vita trascorsa alla Juve. Ma, appunto: si è trattato di una vita lunga. Sette anni di scarpini consumati, infortuni superati con pazienza monastica da parte sua e da parte di chi lo aspettava. Perché è sempre stato uno che ti fa star lì ad aspettare e quando ripassa ti cambia la vita. Con la Juventus ha segnato 115 gol, 18 dei quali in Champions League. Parliamo di gol che restano impressi nell’ambra, come i due al Barcellona che portarono dritto alla semifinale poi diventata finale del 2017, o quello del 2018 al Porto, decisivo la penultima volta che la squadra arrivò ai quarti. Protagonista degli ultimi cinque scudetti, Dybala, e sempre in bilico tra il fuoriclasse che avrebbe voluto essere e l’impossibile normalizzazione impostagli prima dall’atmosfera militare di un club in cui il tutto prevale sempre sulla parte e poi dalla temporanea riforma innescata da un accentratore della statura di Ronaldo.

Quasi all’inizio dei suoi secondi trent’anni, Dybala è stato sostanzialmente scartato dalla squadra per la quale aveva desiderato di diventare indispensabile e ha trovato (quasi) tutto ciò che cercava in un’altra. Alla Roma, dove è stato accolto da fumi colorati, feste di piazza, un allenatore che individua e idolatra la qualità come un orso affamato cerca il miele. E da compagni che neppure gli chiedono prodigi: basta loro la sua presenza per trasfigurarsi. Domenica, con quest’altra squadra ha battuto quella che lo aveva sedotto in gioventù e abbandonato ai primi sintomi di maturità avanzata. E avrebbe dovuto chinare la testa penitente. No, lasciatelo in pace. A saltare in braccio a chi gli vuole bene qui e adesso. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA