Salernitana, Iervolino: “Con il Napoli è il derby del calcio che sogno”

Un anno di presidenza, la salvezza miracolosa, le prodezze di mercato: “Voglio portare la città all’altezza di qualsiasi sfida”
Marco Evangelisti
5 min

Danilo Iervolino, buon derby.
«Grazie. Per me è davvero un derby del cuore. Napoli è la mia città. Oggi però sono impegnato emotivamente e sentimentalmente alla follia con la Salernitana».

Alla quale si è annunciato come presidente ambizioso.
«Ho in mente una cavalcata che porti Salerno a diventare un punto di riferimento nel calcio».

Cominciamo dal Napoli.
«La capolista. Gioca il calcio più bello e vincente d’Europa. Orchestra perfetta, interpreti eccezionali, attacco degli spazi, ritmo e un finalizzatore come Osimhen. Noi veniamo da un momento difficile: quattro sconfitte e due pareggi. Eravamo audaci e sorprendenti, dobbiamo ritrovare le energie psicofisiche che ci sono venute a mancare».

Contro l’Atalanta, a che punto ha smesso di contare i gol subiti?
«Mai. Ognuno degli otto è stato una coltellata. Oltre all’imbarcata, ho visto una squadra senza concentrazione, senso del pericolo, gioco. Qualche leggerezza dopo aver pareggiato, paura, gambe molli davanti a un’Atalanta che ha disputato la gara perfetta. La testa è andata, la fiducia reciproca anche. Capita. Che non capiti più».

E sì che sulla solidità difensiva lavorate da tempo.
«Lo scorso anno abbiamo preso Fazio, Gyomber e Radovanovic ed è venuto fuori quell’ottimo girone di ritorno. Abbiamo aggiunto Daniliuc, Lovato, Pirola e Bronn. Giammai avremmo pensato di ritrovarci con la peggiore difesa del campionato. Qualcosa non ha funzionato, tra infortuni e meccanismi non andati a punto. Ochoa è un campione assoluto in campo e fuori, e anche con l’Atalanta ha parato. Un’intuizione del direttore sportivo De Sanctis. Lui si è dimostrato entusiasta e in poche ore ci ha raggiunti. Abbiamo un diritto di rinnovo: entro fi ne maggio decideremo se esercitarlo. Oggi abbiamo altro a cui pensare».

Qualche volta ci pensate troppo. L’allenatore Nicola è stato esonerato e richiamato nel giro di un paio di giorni.
«Le storie del calcio sono storie di uomini. Dopo quella botta era giusto pensare a una discontinuità. Non è questione solo della sconfitta con l’Atalanta. Da diverse giornate la squadra appariva lunga, svogliata, ingrigita. Stavamo facendo casting su molti tecnici che si erano proposti. Nicola mi ha cercato, io non ero ben disposto, ma alla fi ne l’ho richiamato. Mi ha convinto di avere ancora energia, coraggio, passione. I giocatori erano felicissimi di ritrovarlo, il ds pure. Le persone intelligenti possono anche cambiare idea. Ha ammesso gli sbagli, meritava un supplemento di fiducia. In qualsiasi altro tipo di azienda sarebbe considerato un procedimento usuale».

Diciamo la verità: lei entra come un trattore in tutti i settori in cui investe, dal calcio all’editoria.
«Tutt’altro. Mi sento un innovatore, un rivoluzionario. Serve coraggio in quest’Italia omologata in cui nessuno cambia le cose. Io non accetto supinamente lo status quo. Ho una visione, mi considero un sognatore che non smette mai di lottare. Non un rottamatore: ho amici e manager che lavorano con me da una vita».

Ma non ci sono pezzi del calcio che invece meriterebbero di essere rottamati?
«Il calcio è refrattario a ogni sorta di innovazione. Gli piace stare in naftalina. Vale lo stesso per il giornalismo. Il cambiamento in generale spaventa, lo capisco, ma non per questo si può restare immobili».

Nel calcio, che cosa significa rivoluzione?
«Non continuare a fare le cose in un certo modo perché è il modo di sempre. Quasi tutti perdono, pochissimi guadagnano. Si parla di indice di liquidità e non si applica il salary cap. I principi non sono mai perentori, così tutti possono non rispettarli. In Lega non si trova l’armonia necessaria per creare una politica commerciale più moderna, tecnologica, orientata al mercato. Vedo società che non sanno gestire l’ospitalità, investire sulle infrastrutture, programmare a medio e lungo periodo. Serve una riforma complessiva. Vanno riscritte le regole d’ingaggio tra noi presidenti per imporre l’equilibrio finanziario, regolamentare i rapporti con gli agenti, varare un efficiente sistema di distribuzione dei diritti televisivi, garantire la sicurezza negli stadi, aggiornarli. C’è tanto da riformare. Questo però significa che c’è anche tanto valore da recuperare».

A un anno dal suo ingresso, quanto di questo è riuscito a realizzare nella Salernitana?
«Parecchio, salvezza dello scorso anno a parte. C’è un vero progetto sportivo. Abbiamo puntato sulle accademie, stretto il rapporto con il territorio, rimodernato le strutture di allenamento, rinsaldato i legami con tutte le forze della città. Abbiamo una delibera che prevede l’investimento di trenta milioni per la copertura dello stadio. Cresciamo mattone dopo mattone. La salvezza non sembra drammatica come nello scorso campionato, però non abbassiamo la guardia. Non appena al sicuro, cominceremo a programmare la prossima stagione. L’obiettivo finale è poter affrontare qualsiasi avversario».

Siete ambiziosi.
«Oh, quello di sicuro».


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