L'Olimpico diventa 'Grande Torino', domenica l'esordio contro il Sassuolo

La Giunta ha approvato il cambio di nome, è il giusto tributo agli angeli di Superga a pochi giorni dal 67° anniversario della tragedia
L'Olimpico diventa 'Grande Torino', domenica l'esordio contro il Sassuolo© LaPresse
Adriano Lo Monaco
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TORINO - Tre punti per il giusto tributo a una giornata che, comunque vada, sarà storica. Quella di domenica contro il Sassuolo sarà la prima partita che i granata giocheranno all’Olimpico Grande Torino. L’impianto è lo stesso, sia chiaro, ma la dedica agli angeli di Superga era doverosa. Il consiglio comunale ha approvato il cambio di nome, stessa cosa fatta dalla Giunta guidata dal sindaco Fassino.

Entusiasta il presidente Cairo che, nei giorni scorsi, aveva dichiarato di «voler ricordare in eterno quella squadra per le cose strepitose che ha fatto, non soltanto in ambito sportivo». La decisione è stata presa dopo la petizione lanciata dai tifosi, che avevano come obiettivo principale quello di onorare la memoria dei propri eroi. Tutto questo a pochi giorni dal 67° anniversario della Tragedia di Superga, era il 4 maggio del 1949.

DA ORA SARÀ GRANDE TORINO

IL RICORDO E IL QUARTO D'ORA GRANATA - Giacca, cravatta e capelli brillantinati. Ogni domenica, al Filadelfia di Torino, il capostazione di Porta Nuova Oreste Bolmida portava con sé la cornetta che utilizzava al lavoro. Al suo squillo di tromba, il capitano Valentino Mazzola alzava la testa, si rimboccava le maniche e dava inizio al celebre quarto d’ora granata. Era il segnale dei tifosi alla squadra, la provocazione simpatica di un’intera città che voleva legittimata sul campo la magnificenza del Grande Torino a discapito delle altre società. Quindici minuti che avevano il potere di far cambiare la partita e distruggere le illusioni altrui. Basti pensare a Torino-Lazio del 30 maggio del 1948: riuscirono, sotto di tre reti e dopo la spinta di Bolmida, a ribaltare il risultato per il definitivo 4-3.

LA SQUADRA E I SUCCESSI - Cinque scudetti consecutivi, una Coppa Italia e dieci granata vestiti d’azzurro da Vittorio Pozzo per una sfida contro l’Ungheria. Quando il calcio era puro agonismo e le maglie erano ricoperte dal sudore e non dagli sponsor. Quando il calcio era ancora uno spettacolo da stadio e non da televisione. Quando l’unico pensiero dei calciatori era quello di far correre il pallone e non c’era spazio per tronisti e storie di tradimenti sui social network. Ecco perché vale la pena ripassare la storia di quegli anni e la storia del Grande Torino. Da Bacigalupo, il portiere volante, a Loik, la mezzala istriana definita “elefante” per il curioso modo di far oscillare il corpo. Da Ossola, prima colonia del grande impero granata prelevata dal Varese per 1000 lire, a Grezar, il triestino elegante con l’obiettivo di dar ordine alla squadra. Da Menti, l’ala destra tutta scatto e dribbling, a Mazzola, l’esempio di quanto più forte, valoroso e completo il calcio italiano sia riuscito a produrre.

IL PRESIDENTE - Ma non c’è una grande squadra senza un grande presidente. Imprenditore rigido e perspicace, Ferruccio Novo assunse la carica nel 1939 e cominciò subito a organizzare il club sul modello delle squadre inglesi, circondandosi di collaboratori fidati che lo incoraggiarono a passare dalla tattica del “metodo” (che aveva fatto la fortuna di Pozzo ai Mondiali del ’34 e del ’38) a quella del “sistema”. Durante la seconda guerra mondiale il presidentissimo, come venne poi chiamato, riuscì a non far partire per il fronte i giocatori utilizzando come pretesto il loro lavoro in Fiat e creando un bel rapporto di solidarietà che sarà poi alla base delle vittorie successive.

LA TRAGEDIA - Il destino volle che Novo, bloccato da una influenza, non salisse su quell’aereo. Al rientro da Lisbona, dopo Benfica-Torino (amichevole in omaggio al capitano lusitano Ferreira) il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI si schiantò contro il terrapieno della Basilica di Superga. Trentuno morti e nessun superstite tra calciatori, staff tecnico, giornalisti ed equipaggio. L’impressione fu tale che l’anno dopo la nazionale italiana andò ai Mondiali brasiliani in nave con un viaggio di tre settimane (Ci allenavamo in poppa e tutti i palloni che avevamo con noi finirono in mare prima dello scalo alle Isole Canarie e dati in pasto ai delfini” ricordò Egisto Pandolfini). 4 maggio 1949, sessantasette anni granata tra commossi squilli di trombe e scroscianti applausi di chi non ha dimenticato i campioni del Grande Torino.


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