Mignani: "Il Bari merita la serie A. Pronto al grande salto"

Con la promozione in tasca, il tecnico biancorosso non si accontenta e asseconda le ambizioni di un’intera città. Dopo la Serie B, obiettivo Supercoppa
Mignani: "Il Bari merita la serie A. Pronto al grande salto"© FOTO MOSCA
Tullio Calzone
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INVIATO A BARI - Vincere a Bari ha un sapore diverso, speciale, unico. La città ti entra nell’anima e ti travolge con la sua passione contagiosa. Lo ha potuto constatare il tecnico Michele Mignani dopo il ritorno in B a conclusione di un’annata indimenticabile e avvincente. Tuttavia non sufficiente ad appagare la fame di calcio del popolo biancorosso che chiede di più, molto di più dopo una stagione in D e tre in terza serie. E l’allenatore genovese trapiantato a Siena, dove ha vinto la B con Papadopulo da calciatore, sembra l’uomo giusto al posto giusto. 

Mignani, neanche il tempo di smaltire l’emozione per la festa promozione e c’è già un lavoro da completare. Supercoppa obiettivo importante? 

«È un torneo che ci permette di affrontare le squadre che hanno vinto gli altri due gironi, Modena e Sudtirol. Sarebbe bello riuscire a dimostrare sul campo che siamo i più forti della Serie C». 

Quando ha capito che la B era davvero un obiettivo conseguibile? 

«Onestamente sino a quando non l’abbiamo raggiunto non sono stato mai tranquillo. Però, a dicembre, dopo le trasferte di Avellino e Palermo, la squadra ha preso coscienza della propria forza. Il resto è arrivato di conseguenza attraverso sacrificio e impegno». 

Il presidente Luigi De Laurentiis distingue il concetto di squadra da quello di gruppo, quest’ultimo sempre decisivo. Possiamo dire che lei ha avuto il merito di fonderli in una sola visione? 

«Non è mai facile capire quali siano i propri meriti. Giudicarsi è complicato. Ognuno ha i suoi metodi. Tuttavia credo che il Bari fosse completo per realizzare qualcosa d’importante, con una forza caratteriale evidente. C’è stato un po’ di tutto. Anche la qualità dei calciatori, la capacità dello staff di far correre tutti. Io ho fatto al meglio il mio lavoro, ma c’erano valori importanti alla base di tutto grazie alla programmazione della società, un fattore non secondario». 

Cosa va adeguato di questo Bari per essere competitivi anche in un campionato più complesso e impegnativo come la B? 

«Sarà una valutazione che faremo insieme con il direttore sportivo Polito. Certamente qualcosa dovremo modificare anche solo per una questione anagrafica. Serviranno più under per le regole della categoria. Ma niente rivoluzioni, non ne abbiamo bisogno».  

L’asticella delle ambizioni s’è già alzata. Se il sindaco di Bari, Antonio Decaro, chiede l’Europa e il popolo biancorosso si accoda volendo un Bari forte e adeguato alla città, le cose si complicano. O no? 

«Tutti sappiamo che Bari merita almeno la B, ma anche la A, perché no? Siamo riusciti a far tornare l’entusiasmo, ma io credo che non si debba ragionare per salti estremi. Bisogna fare un passo alla volta. E costruire una squadra veramente forte». 

Lavorare in presa diretta con la società è un vantaggio o una complicazione? 

«Uno dei motivi che ci ha permesso di ottenere dei risultati è che ognuno ha svolto il proprio compito in autonomia e nel rispetto dei ruoli. Essere liberi di poter fare le proprie scelte è un valore incalcolabile. Il presidente De Laurentiis anche da questo punto di vista è stato un patron ideale e lo ringrazio tantissimo per aver creato le condizioni migliori per farci lavorare». 

Oltre alle legittime pretese della gente ci sarà da gestire anche l’incombenza della multiproprietà. Dover giocare con un obiettivo a scadenza, con norme cambiate in corso d’opera, potrebbe essere un disagio non da poco. Non crede? 

«Intanto, la nostra proprietà sta cercando di capire quali siano i tempi, poi c’è un ricorso pendente. Aspettiamo. Noi dobbiamo provare a estraniarci da queste situazioni e pensare al campo senza farci condizionare. Io mi appresto a esordire in B senza guardare a cosa succede intorno a me. Resto concentratissimo. Così farà anche il mio Bari. Per il resto siamo in buone mani». 

Che ruolo ha avuto il direttore sportivo Polito in questo successo non scontato? 

«Io credo che abbia avuto un grande merito perché ha dovuto ribaltare la squadra in una situazione di difficoltà, completandola dopo la 1ª giornata di campionato. È un dirigente unico, non solo perché mi ha scelto, la città si attendeva un tecnico con un curriculum importante. Lui riesce a regalare punti alla squadra anche oltre il mercato, grazie alla sua personalità». 

A chi ha dedicato una vittoria che ha toccato il cuore della gente? 

«Alle persone che hanno creduto in me. Prima di tutto a Polito». 

Avete già delle idee su come rafforzarvi sul mercato? 

«Di idee il direttore ne ha tutti i giorni. Dovremo ragionare insieme. Presto ci vedremo». 

Parliamo del suo calcio: ha un tecnico a cui si ispira? 

«Da calciatore il primo grande maestro l’ho avuto alla Spal. È stato Giovan Battista Fabbri. Un tecnico molto avanti rispetto ai tempi, sia come concezione calcistica sia come capacità di gestire le risorse umane. Papadopulo, invece, mi ha permesso di debuttare in Serie A dopo aver vinto il campionato a Siena. Gli sarò sempre grato. E, da ultimo, non per ultimo però, c’è Stefano Pioli che ho incrociato nel Grosseto del mitico Comandante Piero Camilli. Riconosciuta l’importanza di questi allenatori, penso tuttavia che chi sceglie di fare il tecnico debba trarre spunti da tutti, ma non copiare nessuno, maturando una propria visione. Certo, Pioli resta un punto di riferimento. Italiano è un emergente e Jürgen Klopp un grandissimo». 

Qual è il concetto del suo calcio a cui non rinuncerebbe mai? 

«Penso che una squadra debba avere una grande organizzazione difensiva. Che significa lavorare insieme anche quando la palla ce l’hanno gli altri e provare a fare male agli avversari con semplicità. Bisogna studiare e capire dove colpire. Fabbri diceva che se si potesse fare gol con un rinvio del portiere e un tiro dell’attaccante, sarebbe il calcio perfetto. Poi ho constatato che anche Guardiola, dopo gli anni del tiki-taka, ha scelto un portiere che lancia i compagni in attacco da ottanta metri. Per quanto mi riguarda, l’obiettivo di chi gioca al calcio è arrivare alla porta avversaria per fare gol il prima possibile». 

L’altra sua passione oltre a fare l’allenatore? 

«Il calcio e la famiglia, bastano e avanzano a riempirmi la vita». 

Genoa o Samp: da genovese chi si augura di non incontrare in B? 

«Sicuramente la Sampdoria. Ma anche il Genoa meriterebbe la A». 

Il torneo cadetto è diventato un trampolino di lancio per giovani allenatori: tre nomi su tutti, De Zerbi, Italiano, Dionisi. Lei è pronto per il grande salto? 

«Bisogna essere pronti per forza, nella vita e ancora di più nel calcio. Non si può scegliere il momento in cui cogliere un’opportunità. Ma quando arriva è necessario non lasciarsela scappare. Bari mi ha insegnato anche questo».


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