Il Palermo di Marconi, l’elogio della modestia

Artefice del ritorno dei rosa in B, il difensore insiste: “Conosco i miei limiti, ma sogno ancora la Serie A”
Il Palermo di Marconi, l’elogio della modestia© LAPRESSE
Marco Evangelisti
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«Orgoglioso. Tra virgolette». Perché tra virgolette? «Ho fatto solo il mio lavoro. Lo hanno chiamato miracolo, per me è stato istinto. Ho tirato la palla fuori della porta, mi hanno detto che ho colpito la traversa e io onestamente non me n’ero accorto. Poi ho visto i filmati ed effettivamente sì, non ero intervenuto come pensavo. Come si usa dire, mi ero immolato. Bene così». Ivan Marconi è conosciuto da una vita in giro per i campionati sotto la Serie A e celebre da giugno quando salvò la baracca a Padova, nell’andata della finale dei playoff, scalciando in rovesciata un colpo di testa di Chiricò. Dando lavoro per qualche minuto al Var, in assenza della tecnologia apposita della linea di porta. Attese la risposta del monitor e poi attese che in mezzo al passaggio di proprietà del club qualcuno trovasse il tempo per confermarlo in squadra. Ma insomma, il Palermo ha vinto 1-0 entrambe le partite, è salito in B e lui è sempre lì ad abitare a Mondello. «Non voglio esagerare dicendo che questa città è la mia seconda casa. Ma a Palermo di tanto in tanto trovo qualcuno che mi riconosce, un bambino che vuole una foto. E in due partite che ho giocato in casa ho visto cinquantamila persone. Al Nord nelle stesse situazioni me ne trovavo davanti tremila».

Non vuole mai esagerare. Né giudicare. «Ognuno di noi ha la sua scala di valori. Ad alcuni piace impressionare. Io mi diverto in altri modi. Chi compra automobili di lusso, chi peferisce tenersi i soldi per scopi differenti. A me sta benissimo girare con la C3 di mia moglie. Poi in estate sono andato diciotto giorni in viaggio di nozze negli Stati Uniti e ad Aruba. I miei compagni di squadra mi prendono in giro chiamandomi taccagno. Beh, sono parsimonioso. Il denaro per me vale qualcosa. Ovvio che chi è benestante non ci fa caso. A casa mia bisognava prestarci attenzione: padre operaio per una vita, madre donna delle pulizie. Sono cresciuto così e questo insegnerò ai miei figli, se ne avrò».
Qualora gli passasse per la testa di derogare a questi principi, interviene a rimetterlo in linea la moglie Camilla, ingegnere gestionale in una ditta del Bresciano. «Lei è un bel martello, da quel punto di vista. Veniamo dallo stesso ambiente sociale. Non staremmo insieme, se non la pensassimo allo stesso modo. Invece abbiamo fatto un gran percorso insieme, da quando ci siamo conosciuti adolescenti a Castegnato, il nostro paese a dieci minuti da Brescia». Lui ha cominciato con le giovanili dell’Inter, ha vinto in C e conosciuto la B con la Cremonese. Può darsi che la A alla fine arrivi con il Palermo. «Ci spero. Ma, come dice Galliani, la Serie A è un altro sport. Nel calcio esistono le categorie. Se ho sempre giocato dalla B in giù, vuol dire che la mia dimensione è questa. A trentadue anni non ho rimpianti. Ne avrei se non mi fossi impegnato. Non dico sempre, però di solito chi s’impegna riesce. I sacrifici spesso valgono più della bravura».
Lo dice con il tono di chi ha visto cose diverse, ma ha impostato il suo cammino in questo modo e tiene la rotta. Sembra persino troppo buono per essere un difensore. «Non è così. Dividiamo il campo dal resto. Quando gioco, annuso l’aria e vado d’istinto. Walter Samuel è il mio modello. Ovviamente mi sento un centesimo di Samuel». Ma ha avuto le sue avventure e i suoi nemici. «Andrea Brighenti. Stefano Scappini. Pablo Gonzalez del Novara. Se sta bene è immarcabile».


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